Page 208 - Oriana Fallaci - 1968
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canzone vale una preghiera. Devi cantarla lunedì alla marcia.»
                    Ben Branch promise e Jesse Jackson disse: «Perché non vieni

                con noi, Ben, andiamo tutti a cena dal reverendo Samuel Kyles.
                Anzi, incomincia a esser tardi: preparati, Mart». «OK,» rispose

                King «prima però voglio prendere una boccata d’aria. È tutto il
                giorno  che  sono  chiuso  dentro  questa  stanza,  mi  fa  male  la
                testa.» Aprì la porta e uscì sulla terrazza. Jesse Jackson lo seguì.

                Due  studentesse  negre  del  Le  Moyne  College,  ferme  sotto  la
                terrazza,  squittirono:  «Eccolo,  eccolo!».  Una  delle  due,  Clara

                Ester, esclamò: «Accidenti, non è davvero un bell’uomo? E poi
                giovane!  Non  dimostra  davvero  trentanove  anni».  Accanto  a

                loro era l’autista di Martin Luther King, Solomon Jones. Stava
                spolverando l’automobile per portare il gruppo a casa di Samuel

                Kyles.  «Calme,  ragazze,  calme,»  scherzò  «il  reverendo  è
                sposato.» Poi Solomon Jones alzò il viso verso Martin Luther
                King  e  gli  gridò:  «Dottor  King,  ha  sentito  come  fa  freddo,

                stasera? Si metta il cappotto!». «Lo metterò» rispose King. E si
                appoggiò  con  le  mani  alla  ringhiera  della  terrazza,  tirò  una

                lunga boccata d’aria fresca: «È davvero freddo, Jesse. Guarda
                che cielo livido. Lo sai, Jesse, che…».

                    Il colpo partì e giunse prima che lui finisse la frase. Un colpo
                solo,  violento  come  una  bomba.  «Ehi,  ci  sono  i  fuochi  di

                artificio, stasera?» disse Solomon Jones. «Dev’esser scoppiata
                la  gomma  di  un’automobile»  disse  Clara  Ester.  Poi  entrambi
                cercarono con gli occhi Martin Luther King, ma lui non era più

                appoggiato  alla  ringhiera  della  terrazza.  Giaceva  riverso
                all’indietro e Jesse Jackson implorava: «Mart! Mart! Mi senti,

                Mart?». Clara Ester e Solomon Jones si precipitarono su per le
                scale: qualcuno aveva appoggiato sotto la testa di Martin Luther
                King un asciugamano di spugna e l’asciugamano era intriso di

                sangue. Il sangue usciva, gorgogliando, da una orrenda ferita tra
                il collo e la mandibola destra. Dice Jesse Jackson: «Il colpo gli

                esplose tra il collo e la mandibola destra, squarciandola. Martin
                mi fissò con sguardo sorpreso, poi un sorriso strano gli mosse le

                labbra  ed  egli  cadde  all’indietro».  Aveva  ancora  quel  sorriso
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