Page 207 - Oriana Fallaci - 1968
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chiuso  dentro  da  almeno  mezz’ora».  «Forse  si  sente  male»
                suggerì  Grace  Stephens.  Allora  Willie  Anschutz  agitò  la

                maniglia  e  gridò:  «Ehi,  tutto  a  posto?  Bisogno  di  aiuto?».
                Nessuno  rispose.  L’unico  suono  fu  un  fruscio  contro  il  muro,

                poi un piccolo colpo contro la vasca: come se l’uomo ci avesse
                inciampato.
                    L’uomo stava alla finestra e puntava il fucile. Il fucile era un

                Remington calibro 30, a cannocchiale. Neanche quarantotto ore
                prima un fucile così era stato rubato in Walnut Grove Road da

                un negozio di articoli sportivi. La polizia lo sapeva. Se uno solo
                dei  poliziotti  che  circondavano  il  Lorraine  avesse  alzato  lo

                sguardo  oltre  gli  alberi,  non  avrebbe  durato  fatica  a  vedere  il
                fucile appoggiato alla finestra del bagno. Tra quella finestra e il

                Lorraine c’è una distanza, in linea d’aria, di soli duecentocinque
                piedi e tre pollici, meno di settanta metri. Il fatto è che la polizia
                proteggeva  Martin  Luther  King  con  scarsa  attenzione  e  ancor

                più scarso entusiasmo.
                    La  polizia,  a  Memphis,  non  ha  mai  amato  Martin  Luther

                King.  Lo  amava  ancora  meno  quella  sera  di  giovedì  4  aprile,
                verso  le  sei.  Mancavano  pochi  minuti  alle  sei  quando  Willie

                Anschutz strillò: «Insomma, è permesso fare i propri bisogni, sì
                o  no?».  Grace  Stephens  lo  ricorda  bene  perché,  quando  lui

                strillò così, lei cercava alla radio il suo programma favorito, che
                si chiama Il meglio di Broadway.
                    Grace  cercava  alla  radio  Il  meglio  di  Broadway,  Willie

                strillava, l’uomo puntava il fucile, quando Ben Branch, cantante
                negro e amico di Martin Luther King, entrò nella stanza 306:

                «Reverendo,  mi  hai  fatto  chiamare?».  «Sì,  Ben.  Entra,  Ben»
                disse King. «Avevo voglia di sentirti cantare.» «Cosa vuoi che ti
                canti,  reverendo?»  «Cantami  Oh,  prezioso  Signore.  E  cantala

                davvero  bene,  ti  prego.»  Ben  Branch  annuì  e  cantò:  «Oh,
                prezioso Signore, dammi una mano. Sono così debole, stanco.

                Sento  di  non  farcela  senza  di  te».  Ma  quando  ebbe  finito  la
                prima strofa, Martin Luther King lo fermò: aveva le lacrime agli

                occhi.  «Per  tutti  i  cieli,  Ben.  Non  la  sciupare  per  me.  Questa
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