Page 156 - Oriana Fallaci - 1968
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non appena odono una fucilata. Il più piccino ha cinque anni. La
                signora  Ky  dice:  «Viviamo  come  i  soldati»,  e  il  suo  visino

                liscio, di porcellana, sembra il ritratto della malinconia. O della
                rassegnazione. Il volto di lui, invece, è imperturbabile. Per lui il

                rischio è normalità, la minaccia di morte è routine. Lo sostiene
                la  cieca  certezza  di  potervi  passare  attraverso  come  un  dio
                invulnerabile.  Forse  è  un  visionario,  forse  è  un  tipo  assai

                pratico: altri, ignoranti come lui, vi riuscirono, forse finirà come
                un Lumumba, forse trionferà come un piccolo Napoleone, oggi

                il cronista si limita, incerto e perplesso, a riportare ciò che gli
                disse, e a lasciarne il commento a chi legge. Ky ha parlato per

                sei ore, con voce ferma e occhi duri. Era domenica pomeriggio
                e il cannone tuonava alla periferia di Saigon.



                ORIANA  FALLACI:  Generale  Ky,  si  raccontano  cose  assai
                sconcertanti  su  di  lei,  ma  la  più  sconcertante  è  senza  dubbio
                quella  che  lei  stesso  ha  detto  giorni  fa:  «Lo  so  che  qualcuno

                tenterà  di  uccidermi.  Ma  questo  qualcuno  non  sarà  un
                comunista».



                NGUYEN CAO KY: Esatto. Se qualcuno mi ucciderà non sarà un
                comunista. Sarà qualcuno dall’altra parte della barricata e per il
                quale sono più scomodo di quanto lo sia per i comunisti. Vede,

                non tutto il male sta fra i comunisti. La corruzione è fra noi. Fra
                i nostri leader su dieci, nove sono corrotti. E poiché io sono il

                solo  a  riconoscerlo,  è  ovvio  che  molta  gente  mi  odi  e  abbia
                interesse  a  eliminarmi.  Io  non  piaccio  ai  politici:  perché  non

                sono un uomo politico, perché non sono un diplomatico, perché
                detesto appartenere a un regime inefficiente, incapace, e che di

                democrazia  ha  solo  il  nome.  Io  non  piaccio  agli  americani:
                perché dico loro quello che penso e li sbugiardo e li accuso, e di
                conseguenza sono un uomo pericoloso per loro. Gli americani

                sostengono  d’essere  qui  in  osservanza  dei  loro  princìpi  di
                democrazia e di libertà. Non ci credo, o nel migliore dei casi ci

                credo  al  cinquanta  per  cento.  Gli  americani  sono  qui  per
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