Page 141 - Oriana Fallaci - 1968
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abbandonava le mani sopra i ginocchi, rovesciando le palme,
tendendo le dita verso l’alto, anch’esse a cercare il sole, la luce.
Sentivi come un bisogno di accarezzarlo, e ti toglieva la paura.
Nello stesso momento in cui ci dirigevamo, coi motori pronti
al decollo, verso la pista, era incominciato un bombardamento
di mortai. Quando un colpo ci cadde vicino e il comandante ci
disse: «Non abbandonatevi al panico, decolleremo lo stesso», io
mi interessai solo a Sanford Collins, accertandomi che stesse
bene. Però lo chiesi al soldato che lo accompagnava, un bianco
di nome Dennis Medjesky. A lui non osavo parlare, mi
intimidiva talmente. Aprii bocca, con lui, soltanto quando
fummo a mille metri di altezza. «Sei una donna?» rispose. E per
accertarsene tastò incredulo le maniche della mia uniforme, il
viso: i suoi polpastrelli mi scivolano affettuosi e leggeri sul
naso, sulla bocca, sugli occhi, sui capelli. «Sì, sei una donna e
hai i capelli lunghi, legati con un elastico. Sì, certo che voglio
parlare con te.» Anche la sua voce era gentile, un sussurro. La
usava come una cantilena, in un accento del Sud. Avvicinandosi
con le labbra al mio orecchio spiegò che veniva dall’Alabama,
ne era partito solo tre mesi avanti, e subito lo avevano mandato
a Hué coi marine. Era un marine. Venti giorni era rimasto a Hué
combattendo metro per metro sulla riva Sud, poi sulla riva
Nord, poi sotto le mura della cittadella e qui era successo, verso
le due del mattino, per lo scoppio di un razzo. «Stavo
dormendo, sai. Mi svegliò quel bagliore. Prima ci fu il bagliore
e poi il tonfo. Ma il bagliore fu più forte del tonfo. Fu come se
tutta la luce del sole si fosse accesa su me: l’ultima cosa che ho
visto è stata quella luce, m’ha accecato la luce. Però non me ne
accorsi mica per circa mezz’ora. Era notte e credevo di vedere il
buio per via della notte. Me ne accorsi con l’alba. Così mi
portarono all’ospedaletto da campo, sai quello vicino alla
postazione dell’artiglieria, e il dottore mi disse: “Cosa vuoi che
ci faccia, s’è bruciata l’iride, mettiti lì”. Sono rimasto lì sette
giorni. Non potevano evacuarmi perché i viet sparavano sugli
elicotteri.»