Page 140 - Oriana Fallaci - 1968
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buio,  e  un  compagno  armato  di  fucile  lo  guidava
                affettuosamente reggendolo per il gomito destro. La sua mano

                destra  si  aggrappava  con  disperazione  alla  manica  del
                compagno,  la  sua  mano  sinistra  era  tesa  in  avanti  a  prevenire

                ostacoli che le sue pupille non vedevano più. Era negro, avrà
                avuto  all’incirca  vent’anni.  Era  bello  e  il  suo  viso  era  intatto.

                Non una ferita, non una benda, solo quegli occhiali neri che da
                lontano  potevi  confondere  con  il  colore  della  sua  pelle.  Un

                elicottero  lo  aveva  posato  pochi  minuti  prima  all’aeroporto  di
                Phu Bai, il più vicino alla zona della battaglia di Hué e ora egli
                attraversava  la  pista  per  salire  sopra  un  aereo  che  lo  avrebbe

                portato a Da Nang dov’è una grande base americana piena di
                ospedali. Al suo passaggio i soldati si scostavano, rispettosi e

                pietosi.  Qualcuno  si  fermava  a  guardarlo,  vicino  all’aereo  si
                fermò  anche  un  colonnello  dall’espressione  severa,  i  capelli
                grigi: «Come ti chiami, soldato?». «Sanford Collins, signore.»

                «Puoi vederci un poco, soldato?» «No, niente signore.» «Dove è
                successo,        soldato?»         «A       Hué,       signore,        durante        un

                bombardamento  di  razzi.  È  ormai  una  settimana,  signore.»  Il
                colonnello gli posò una mano sulla spalla, poi portò le dita al

                berretto, lo salutò con ammirazione: «Fai onore al nostro paese,
                soldato. Ti ringrazio a nome del nostro paese». Sanford Collins

                sorrise  con  dolcezza  e  umiltà:  «Grazie,  signore.  Non  merito
                tanto, signore».
                    Salimmo sopra l’aereo, anch’io andavo a Da Nang. Era un

                aereo pieno di militari e tutti volevano aiutarlo in qualcosa: a
                sedersi, ad allacciare la cintura di sicurezza, ad avere vicino il

                paracadute.  Il  paracadute  anzi  provocò  occhiate  colme  di
                preoccupazione: come fa un cieco a gettarsi con un paracadute?
                Qualcuno  gli  offrì  una  sigaretta,  che  rifiutò;  qualche  altro  un

                chewing-gum, che respinse dicendo: «Non ho bisogno di nulla».
                Ma  garbatamente,  signorilmente.  C’era  qualcosa  in  lui  che

                superava la rassegnazione e perfino la serenità. Oserei dire, una
                dignitosa fierezza. Avresti dovuto osservare con quale fierezza

                teneva il viso alzato a cercare il sole, la luce. Con quale dignità
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