Page 136 - Oriana Fallaci - 1968
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gran solitudine e poi forse la morte.
18 GENNAIO. Ventisettesimo giorno del dodicesimo mese
lunare: pochi giorni ancora e poi celebreremo il Tet.
All’improvviso ci hanno ordinato di non stare più nelle case.
C’è qualcosa di nuovo nell’aria. Così quando la gente celebrerà
gaiamente il Tet, noi dovremo starcene chiusi e nascosti alla
macchia. Accidenti. Ricordo l’ultimo Tet, io e Can lo passammo
insieme. Com’eravamo felici. Per consolarci ci hanno dato un
chilo di riso a testa. Così potremo farci i dolci. La mia famiglia
mi manca orribilmente, altro che dolci. Cerco di nascondere ciò
che provo ma mi sorprendo sempre a pensare a lei. E ai miei
genitori. Ci hanno dato anche la carne. Dovrei esser contento
ma ho scoperto che mentre dormo piango.
20 GENNAIO. All’improvviso abbiamo udito gli aerei e qualcuno
che gridava: «Stanno bombardandoci». Un secondo dopo s’è
udita una enorme esplosione e frammenti di bomba sono caduti
ovunque. Uno m’è passato a neanche quattro centimetri dalla
testa: ho udito il fischio. Sono subito corso ad accucciarmi in un
buco profondo quaranta centimetri e poi le bombe hanno ripreso
a cadere. Sono corso in un altro buco e vicino a questo c’era un
compagno coperto di sangue. Ho gridato: «Sei ferito?». Ha
risposto: «Sì». Mi sono avvicinato ancora di più e mi sono
accorto che aveva un piede quasi staccato dalla gamba, alla
gamba lo univa ormai solo un pezzo di pelle. Mi sono tolto la
camicia e gliel’ho legata stretta intorno alla gamba per frenate
l’emorragia. Poi ho chiamato un infermiere e insieme lo
abbiamo trascinato sotto un albero. Il piede gli dondolava su e
giù come il pendolo di un orologio. Allora l’infermiere ha
tagliato anche quel pezzo di pelle. Intorno c’era un gran fumo.
Quando il bombardamento è cessato, ho camminato un po’ in
giro e i crateri delle bombe erano veramente grandi. Erano tutti
intorno al buco in cui m’ero nascosto. Non posso crederci: l’ho
scampata. Si vede che il mio destino non era di morire qui.