Page 139 - Oriana Fallaci - 1968
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giornalista non si occupa necessariamente delle cose che gli
piacciono bensì delle cose che accadono. Che credo nel mio
mestiere, nell’aspetto morale del mio mestiere, e quindi trovo
coerente venire alla guerra per narrare a chi non la vede gli
orrori di cui essa si nutre.
«Orrori? Quali orrori?» replicò il signor Zorthian, stavolta
indignato. Rinunciai all’insalata e ricordai al signor Zorthian un
certo comandamento che dice: «Non uccidere». Aggiunsi
perfino che, a mio parere, essere uccisi è altrettanto odioso che
uccidere: specialmente quando ciò accade a vent’anni. Allora il
signor Zorthian uscì con questa domanda: «Ma lei non sarà
mica cristiana per caso?».
Il signor Zorthian dirige l’ufficio informazioni americano a
Saigon e gode di grande prestigio: non pochi sono convinti che
presto diverrà ambasciatore in qualche paese del Sud-Est
asiatico. Ciò che egli dice ha una notevole autorità, e tra le cose
che disse quel giorno c’era che professarsi pacifisti o cristiani
riguardo alla guerra in Vietnam è una specie di tradimento. Tale
tradimento diviene tuttavia sconcertante allorché la pietà per un
marine ucciso si estende a un vietcong morto: come uso fare nei
miei articoli. Incuriosita dall’aggettivo «sconcertante»,
domandai al signor Zorthian se una simile colpa comportasse la
mia espulsione dal Vietnam e il signor Zorthian replicò che le
espulsioni dipendevano dalle autorità vietnamite, non
americane: gli americani non mi impedivano di scrivere quello
che voglio.
Da una risposta così clemente dipendono le note di questa
settimana, in massima parte raccolte durante quattro giorni
trascorsi al Nord, nella città dove infuria maggiormente la
guerra.
Il soldato cieco
Procedeva a passi cauti e incerti, cercando la strada dentro il suo