Page 53 - Le canzoni di Re Enzio
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vanno con agro cigolìo di ferro.
            Sèrrisi bene il falco randione,

            il pro’ bastardo della grande Aguglia.
            Fece il Comune sacramento e legge

            ch’egli non esca quinci mai, che morto.
            Oh! non vedrà né Puglia né Toscana!

                       Addio Lamagna e Capitana!



            Ogni uscio è chiuso del Palagio nuovo;
            chiusa è la porta ed è levato il ponte.

            Vegliano ad occhi aperti nella notte,
            come civette, guaite per le scale.

            Vegliate, o guaite, intorno al re prigione.
            Egli era al lato dell’imperadore,

            era lo specchio della sua persona.
            Egli correva mare e terra in armi.

            Del sacro impero era la fiamma al vento.
            Ora è prigione, e non farà più stuolo

                       e non menerà più gualdana!



            Dorme il Palagio tutto chiuso e muto.
            Soltanto, sparse qua e là, le guaite

            anche la bocca aprono d’ora in ora,
            d’alto e di basso, e gridano: Eya! Eya!

            Disse il Comune: «Lo tenemo, come
            da piccol can spesso si ten zinglare,

            e lo terremo, poi ch’è dritto nostro».
            E non lo rese a padre od a fratelli,

            per preghi e gabbi, né per oro od armi.
            Vegliate, o guaite, Eya gridate in fino

                       che in cielo sia la stella diana.



            Eya! c’è tempo a che ci sia la stella
            che sveglia i cuori. Ora si spegne il foco

            e la lucerna; ora si dorme il sonno
            primo, più forte, il sonno senza sogno.

            Eya! c’è tempo a starnazzare i galli,
            a cantar chiusi ed a chiamare i sogni:




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