Page 52 - Le canzoni di Re Enzio
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spuntavi, come un flore, tu; vestita
            non più che un fiore. E c’era il sole e il vento,

                       e l’ire o stare a suo talento».



            Re Enzio prende un grappolo dorato,
            e dolcemente gli acini ne spicca,

            zuppi di sole. E poi riguarda e dice:
            «Apersi gli ocli ma tu plu non c’eri.

            Seppi, qual eri. Io prigionier, tu sclava».
            E Flor d’uliva: «Ora non plu! Riebbi

            la libertà... Non anco vui, meo Sire?»
            Ed Enzio dice: «Eo m’era il Falconello

            d’un tempo: aveva il vento tra i cavelli
            e il sole entorno. Apersi li ocli un tratto:

            non c’eri plu...» «Ma sono a vui tornata».
            Ed Enzio dice: «Or viemmi dietro e taci».

            E s’incammina ver’ la sua cellata:
            dietro ai suoi passi muove Flor d’uliva:

            segue il Re morto, uscito dal lavello,
            pallido, sì, che v’era da sette anni,

            et or la schiava va con lui che l’ama.
            L’ha tanto amato, e notte e giorno ha pianto;

            tre notti e giorni sotto l’arcipresso,
            mescendo a gara, più della fontana.

            Or è con lui nel grande suo palagio.
            Nullo divieto i giovani custodi

            fanno, per la dolcezza del lor sangue.
            Dicono: «E noi sediamo a tavoliere».

            «Ben ha ghermito» dice Bonfiliolo
                       «il falconello il lusignolo».






                                               X. LA NOTTE



            E dalla torre suona la campana.
            Il Podestà comanda di serrare.

            Rimbomba ogni uscio del Palagio nuovo:
            sull’imbrunire chiavi e chiavistelli




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