Page 51 - Le canzoni di Re Enzio
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ma diventava capougello a sera;
volava allora ai boschi ai campi ai fiumi.
E Flor d’uliva lo sapea, ché sempre,
sull’imbrunire, qua e là, sentiva
parlar più forte, tutti insieme, a gara,
perché piatìano innanzi al re, gli uccelli.
In cuore ha il re, ch’ora ha rimesso l’alie,
per certo, e vola al regno suo lontano,
al suo castello in mezzo al mare azzurro,
il falconello, e il cielo empie di gioia.
O forse è là, tra i suoi cavelli d’oro,
in mezzo ai conti, ch’hanno il pugno al mento,
che dorme per incantamento...
E Flor d’uliva giunge al limitare,
all’alte scale del Palagio nuovo;
e qui Zuam Toso la sogguarda e dice:
«Già t’ho, ricordo, a Santo Zuam, veduta».
«Eo son Lucia, ma detta Flor d’uliva,
da Vidaliagla» ella risponde: «sclava
non più, misèr, sì libera...» «Va, dunque.
Scritto è ‘l to nome già nel Paradiso».
Ella non sa: monta le scale, ed entra,
da niuno vista, dove alle pareti
stanno addossati i muti cavalieri.
Stante, in un raggio è fiso il Re, di sole.
E Flor d’uliva presso a lui depone
la sua canestra, e scopre dalle arsite
pampane i cerei grappoli dell’uva,
tacitamente. Ed ha il corollo in capo.
Il Re si volge a lei che aspetta e tace,
con sui morati riccioli le rosse
pampane; l’uva al piè si vede; e guarda
lei. Gli occhi neri scontrano gli azzurri.
«Deh! forosella, eo già te vidi ‘n sogno,
ch’ero addormito, e tu portasti fiori
et erbe e frutta. Et eo sognavo un campo
grande, di grano. E da le folte spighe
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