Page 42 - Le canzoni di Re Enzio
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Ecco i Seicento ed ecco i Cinquecento
e’ ministrali. Con brusìo sommesso
siedono attorno. I due trombetti un segno
dànno di tromba, e il naccarino picchia
le gracidanti nacchere, e i due frati
intonano il grand’inno sacro.
Si queta l’inno, come a larghe ruote
scesa dal cielo un’aquila rombando.
Fatto silenzio, alto e soave parla
il Podestà: «Magnifici e potenti
Consoli, a cui serrare e disserrare
si dà: per vostra volontà qui feci,
giusta il costume, al suon delle campane
e con la voce dei bandizzatori,
questi assemblar del Popolo e Comune
minor Consiglio di Credenza e il Grande.
E qui, di vostra volontà, dimando,
a li uni e a li altri, che mi dian consiglio.
Buona è la massa cui ripose alcuno,
di puro grano, per il pan del giorno,
ma in essa è un tristo lévito. Bologna
ha bona omnia ... fuor ch’una».
Odono attenti le parole austere.
Ma ora avvien, come d’un lieve soffio
ch’urta la foglia, scuote il ramo, fruga
l’albero, tutto agita il bosco, e passa.
Fatto silenzio, alto e soave parla
il Podestà: «Vi sono uomini astretti
al suolo altrui, come le quercie e li olmi;
sì che né a essi né a’ lor figli è dato
lasciar quel suolo, se il signor non voglia.
Uomini schiavi ha questa dolce terra
di libertà, manenti ed ascriptizi
et arimanni, gente di masnada.
Li può bollare nella faccia il donno,
legar li può sul cavalletto al sole,
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