Page 60 - La passione di Artemisia
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prima volta che mostravo i miei lavori a estranei di una certa importanza e

          da sola, senza l'appoggio di mio padre. Avrei dovuto parlare da sola. Cercai
          di ripassare a mente quello che avrei detto.
               A un certo punto vidi venirmi incontro un uomo con una faccia rotonda,

          simile  a  pasta  lievitata.  Indossava  un  panciotto  di  damasco  verde,  senza
          giubba, come se si trovasse a casa sua.
              «Sì, signorina?»
              «Sono Artemisia Gentileschi, di Roma. Mio padre è Orazio Gentileschi.
          Avrei alcuni dipinti da mostrarvi, se volete essere così gentile».

              «Ah, sì, il signor Gentileschi. So che era un buon amico di Michelangelo
          da Caravaggio».
              «Sì, è vero. Anch'io lo avevo conosciuto, prima che morisse».

              «In circostanze misteriose, se posso aggiungere. Probabilmente mentre
          fuggiva  per  mettersi  in  salvo,  dopo  aver  pugnalato  qualcuno  in  una  rissa
          scoppiata per una prostituta.
               Calzato  di  stivali,  speroni,  armato  di  spada  e  aggressivo  come  un
          brigante. Dentro e fuori dalle galere per le sue liti con la polizia e gli insulti

          a una guardia papale. E voi dite di averlo conosciuto bene?»
              «No. Bene no. Ero una bambina signore. Mio padre...»
               Passavo  le  mie  tele  da  un  braccio  all'altro,  per  ricondurre  la  sua

          attenzione all'arte.
              «Vostro padre manda sua figlia a mostrarci i suoi dipinti?
              Perché non viene di persona?»
              «No, signore. Non i suoi. I miei. Anch'io sono pittrice».
               Corrugò  la  fronte.  Fece  un  rapido,  impaziente  cenno  d'assenso  e  io

          srotolai  le  tele  sopra  una  lunga  tavola  di  legno  dal  piano  regolabile  e  le
          fermai.  Inclinò il piano verso l'alto e arretrò per osservare, ma non disse
          nulla.  Soffriva  di  un  violento  tic  al  collo,  che  cercai  di  ignorare  per

          educazione.
              Mi scrutò le mani.
              «Un momento».
               Mi sedetti e attesi, finché tornò con un uomo sparuto, dalla barbetta a
          forma di vanga. Si misero a bisbigliare maleducatamente in mia presenza.

          Anche l'uomo magro, con i suoi occhi opachi, color guscio di lumaca, diede
          delle occhiate di sghimbescio alle mie dita.  Ordinai alle mie mani di non
          muoversi. E così ecco come sarebbe stato.

               Loro  sapevano.  Il  mondo  dell'arte  e  degli  artisti  è  davvero  piccolo.
          Questo mi fece capire che era necessario che ottenessi una commissione
          prima che mi si gonfiasse il ventre.
               Non  avrebbe  fatto  altro  che  confermare  i  loro  giudizi  e  sarei  stata
          inseguita anche qui dagli insulti romani di "puttana".



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