Page 58 - La passione di Artemisia
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appetito?

               Ma  fui  scossa  a  sorpresa  da  uno  spasmo  furtivo  e  da  un'involontaria
          contrazione interna. Mi voltò nella posizione in cui mi voleva e mi cullò,
          fino  a  farmi  sciogliere  e  ad  accettarlo.  Poi  respinsi  l'angoscia  di  Eva  in

          fondo  alla  mente  e  un'agonia  più  dolce  mi  vinse.  In  seguito  dormimmo
          come fossimo un'unica cosa.
               Alcuni mesi dopo, una mattina, stavo pulendo i pennelli nell'acquaragia
          e  fui  colta  da  un'ondata  di  nausea.  Quell'odore  mi  soffocava.  Aprii  le
          finestre,  ma  non  resistetti  un  momento  di  più  a  respirare  l'aria  fresca.  E

          comunque fresca non era. Puzzava del fiume. Crollai su una poltrona e ne
          strinsi i braccioli. Avevo in bocca un sapore terribile.
              La stanza si appannò. Corsi a prendere una catinella e vomitai.

               Da  un  mese,  forse  due,  aspettavo  il  mestruo.  Anche  se  sapevo  che
          sarebbe potuto accadere, rimasi allibita di fronte alla realtà. Un bambino.
          La  cosa  mi  rese  ansiosa.  E  se  Pietro?  Non  volli  nemmeno  formulare  il
          pensiero.
               Anche mia madre aveva provato questi strani giramenti di testa, questo

          gonfiore - non solo del ventre, ma in gola e dietro gli occhi - nel momento
          in  cui  aveva  sospettato?  Ma  lei  era  morta  di  parto,  in  un  letto  pieno  di
          sangue e di urla.

              Io avevo dodici anni ed ero terrorizzata. Avevo visto tutto.
               Ero adirata con mio padre per averla uccisa, o almeno così mi era parso,
          e rimasi in silenzio per mesi, finché alla fine l'amore di suor Paola e di suor
          Graziella  riuscirono  a  dissolvere  lentamente  quello  stato  di  torpore,  e
          ripresi a vivere.

               Non  volevo  pensare  a  tutto  ciò.  Volevo  un  bambino  e  volevo  che  lo
          volesse anche Pietro. Ma non glielo avrei detto ora. Non finché non ne fossi
          stata certa.

               Ogni  giorno  accadeva  la  stessa  cosa:  quando  toccavo  l'acquaragia  o
          persino l'olio di lino, vomitavo. Non riuscivo a mescolare i colori. La sera
          però mi sentivo bene. Un paio di settimane dopo mi parve di essermi un po'
          ingrossata e avvertivo un senso di tensione al seno. Era certo.
               Questo significava che c'erano delle cose da fare. Mi lavai la faccia, mi

          vestii,  mi  legai  i  capelli  e,  in  quel  giorno  importante,  li  fermai  con  il
          fermaglio  per  capelli  di  mia  madre.  Arrotolai  le  tele  della  Susanna,  di
          Giuditta, quella della Sonatrice di liuto e le legai con un nastro. Non sapevo

          quando il ventre si sarebbe gonfiato e alcuni avrebbero potuto ridere o non
          capire,  se  mi  fossi  presentata  come  una  pittrice  che  di  lì  a  poco  sarebbe
          diventata madre. Era da tempo che volevo presentare all'Accademia quattro
          tele finite e, anche se la Giuditta non era terminata, non avevo altri dipinti
          di grandi dimensioni. Avevo degli studi ma, poiché non mi ero avvalsa di un



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