Page 59 - La passione di Artemisia
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modello, non possedevano alcuna individualità.

              «Che sia pronta o no, dev'essere ora», dissi a Pietro.
              Aveva capito perché stavo arrotolando le tele. Per l'Accademia.
               Ne avevamo già parlato ma, dal momento che non era facile condividere

          le mie più intime speranze, non avevo detto molto.
              «Perché ora?»
              «Un motivo c'è. Prometto di dirtelo domani».
               Mi diede un'occhiata torva che non compresi. Aprii la porta, temendo di
          commettere un errore.

              «Dimmelo adesso».
              Se l'avessi fatto, forse non mi avrebbe lasciato andare.
               Volevo che le due cose, l'Accademia e il bambino, fossero separate nella

          sua testa. Dovevo fare in modo di convincerlo.
               Posai accanto alla porta le tele arrotolate e mi chinai su di lui, che stava
          seduto.  Passai  le  dita  tra  i  capelli  ricci,  come  sapevo  che  gli  piaceva.  Lo
          baciai sull'orecchio e mormorai: «E' una sorpresa. Proprio per te». Allungò
          la mano con aria giocosa, ma lo fermai, afferrai le tele e scivolai fuori dalla

          porta.
               Giù, al portone, cercai qualche segno di buon augurio per rassicurarmi.
          I gerani erano esplosi di fiori scarlatti.

              Una coppia cinguettante di fringuelli posata sul fico mi incoraggiò.
               Come  le  campane  di  Santa  Croce.  Il  cielo  era  tinto  di  azzurro  pallido,
          lucente come seta appena filata.
               Anche  l'aria  era  inondata  di  sole,  dorata.  Ogni  cosa  pareva  carica  di
          bellezza.

               Con le mie tele sotto il braccio e un bambino in grembo, uscii sulla via,
          in mezzo alla confusione dei garzoni di fornaio che bilanciavano sulla testa
          le tavole di legno con il pane per le consegne, dei carretti carichi di fichi e di

          grappoli d'uva e di meloni, dei venditori ambulanti che gridavano la bontà
          delle  loro  pentole  e  dei  loro  coltelli.  Lo  schioccare  delle  fruste  e  lo
          scricchiolio  delle  ruote  dei  carri  che  passavano  sul  selciato  sconnesso  mi
          immerse nella vita della città, che ora era anche la mia. La città di Masaccio
          e del Beato Angelico e di Michelangelo e mia. Artemisia Gentileschi.

               Forse  avrei  potuto  scegliere  di  chiamarmi  Artemisia  Lomi,  col  mio
          cognome ancestrale.
               Più mi avvicinavo al monastero cistercense di Borgo Pinti, che ospitava

          l'Accademia  dell'Arte  del  Disegno,  più  mi  risultava  difficile  allontanare
          dalla mente l'immagine di Pietro.
               Attesi in un'anticamera piena di quadretti raffiguranti san Luca, patrono
          degli artisti. Tentai di studiarli, ma non riuscivo a concentrarmi. Adesso che
          ero davvero in quel luogo, la paura mi faceva sudare freddo e caldo. Era la



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