Page 161 - La passione di Artemisia
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19. Renata







               Papà,  Palmira  e  io  osservavamo  una  balla  di  cotone  che  veniva
          abbassata  sul  molo  con  un  argano.  Alcuni  uomini,  con  addosso  larghi
          pantaloni e babbucce nere, la guidavano per farla atterrare su altre balle,
          parlando  in  una  lingua  dai  suoni  aspri  che  non  capivo.  Il  vento  faceva
          sventolare le loro maniche bianche come fossero vele.

              «Perché hanno la pelle così scura?» volle sapere Palmira.
              «A causa del sole, tesoro», disse papà. «Vengono dal Marocco, nel nord
          dell'Africa».

               Lasciai  che  papà  rispondesse  alle  sue  domande,  dato  che  ne  provava
          tanto piacere. Palmira aveva bisogno di una figura paterna, dopo che l'avevo
          allontanata da Pietro.
               Le indicò dei sacchi rigonfi, allineati sul molo. «Senti l'odore del pepe?»
          le domandò. «E anche della cannella».

               Palmira aspirò in modo esagerato. «Probabilmente vengono dalla Siria.
          Ci  sono  bastimenti  che  arrivano  da  molti  luoghi.  Egitto,  Sicilia,  Corsica.
          L'oro viene dal Nord d'Africa».

              La guardò per essere sicuro che lo stesse ascoltando.
              «Le sete dall'Asia. Le arance dalla Spagna. E dunque anche le persone di
          quei posti arrivano qui. Musulmani, ebrei, egiziani.
              E tutte queste persone portano con sé idee diverse».
              «Su che cosa?» domandò Palmira.

              «Su tutto. Sulla vita. Sulla religione. Sull'arte. Sulla politica.
               E da qui le navi portano via vino, olio d'oliva, oggetti d'argento, marmi.
          Per i genovesi questo porto è il centro del mondo».

              Mi venne da sorridere alla sola idea di un simile convincimento.
              Quando le idee di Galileo sarebbero state accettate, nessuno avrebbe più
          pensato in questo modo. Il mondo sarebbe cambiato. Ne ero sicura.
               Ci  fermammo  a  uno  spaccio  per  marinai  dove  papà  comprò  biscotti
          secchi,  di  quelli  che  si  mangiano  sulle  navi,  e  caffè  aromatico.  Si  accorse

          che  Palmira  guardava  dei  lucenti  bottoni  da  marinaio  e  delle  spille  di
          ottone,  decorati  con  diversi  simboli  marinari.  «Scegline  una»,  la  invitò  e
          diede delle monete al negoziante.

              «Attaccamela tu». Palmira si mise tutta dritta, mentre papà le sistemava
          la spilla.
               Ci  sedemmo  fuori  su  dei  barili  a  bere  il  caffè.  Ogni  tanto  Palmira  si
          toccava la spilla, agganciata al mantello.
              «Dimmi che lavori hai fatto qui a Genova», mi domandò papà.



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