Page 111 - La passione di Artemisia
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finché i nostri occhi si abituarono e potei notare delle cose che mi erano
sfuggite al battesimo di Palmira - le pareti di marmo bianco e verde a
motivo geometrico e i pilastri possenti. L'attenzione di Palmira venne
attratta da un enorme crocefisso d'argento lavorato posto sull'altare. La
lasciai lì davanti e attraversai l'ampio spazio insieme a Galilei. Tra due
colonne di marmo rosa, ecco la statua lignea della Maddalena di Donatello.
Tutto mi si rivelò in un solo sconvolgente istante. Una figura emaciata,
dagli occhi selvaggi e profondamente incavati, le guance cascanti, devastate
dal tempo trascorso nel deserto, le mani unite in preghiera. Stava ritta, a
piedi nudi, le gambe smagrite allargate, nuda, non denudata ad arte,
coperta solo dai capelli arruffati che le arrivavano alle ginocchia. La bocca
spalancata mostrava due soli denti, che parevano due lapidi. Le gambe
stecchite, così allargate e le dita dei piedi rattrappite la radicavano alla
terra, mentre lei agognava al Cielo. Rabbrividii.
«E quella signora lì fuori!» strillò Palmira dietro di me.
Nascose il viso nella mia gonna e nell'edificio deserto di pietra
riecheggiò uno scoppio di pianto. Palmira non voleva calmarsi, qualunque
cosa le dicessi. L'unica soluzione era portarla subito fuori di là.
Guardai sconfortata Galilei, pietrificata dalla vergogna.
«Mi dispiace, messere. Penso che dovremmo andare».
Afferrai la mano di Palmira e la trascinai fuori, ma mi girai di nuovo per
dare un ultimo sguardo alla Maddalena.
A quella donna patetica, che i suoi peccati, vecchi di sedici secoli, ancora
rendevano folle.
«Non c'è bisogno che ci portiate a casa, Messer Galilei.
Non abitiamo lontano. Mi dispiace di avervi incomodato».
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