Page 446 - Il mercante d'arte di Hitler
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revisione sistematica dei loro patrimoni. Il tema fino a quel
momento abbordato soltanto in relazione ai saccheggi d’arte
russi è tornato da allora al centro dell’agenda ufficiale.
Parallelamente, sempre più numerosi sono i discendenti dei
collezionisti perseguitati dal regime che hanno cominciato a
farsi sentire. I loro padri, ove sopravvissuti, avevano avuto ben
altri problemi dopo la guerra che mettersi alla ricerca dei propri
quadri scomparsi. Molti inoltre avevano preferito non rivangare
la memoria o non doversi ritrovare di fronte alle autorità
tedesche nella posizione di richiedenti. Tanto tra i responsabili
quanto tra le vittime, sono i discendenti ad ardire per primi, da
più parti, di affrontare la scottante questione. A tutto questo si
aggiungono le nuove possibilità di ricerca offertesi con la
caduta delle cortina di ferro: molti archivi, infatti, sono divenuti
accessibili solo a partire dal 1989.
Dallo scoppio del caso Kirchner a Berlino, il ricorso a quella
“mano tesa” dal governo federale ai musei già nel 2001, con cui
anche gli istituti locali furono sollecitati a ispezionare i propri
assortimenti, ha subìto un’accelerazione, i fondi sono stati
costantemente aumentati. Eppure ancora oggi molti direttori e
curatori museali si mantengono sulla difensiva, per loro il
museo è il luogo più appropriato in cui ospitare i patrimoni, le
pretese dei privati sono secondarie rispetto all’interesse
pubblico. Non tutti gli storici dell’arte condividono lo stesso
senso di intollerabilità all’idea che quanto esposto alle pareti
delle gallerie non appartenga di diritto al museo. Tra i primi a
riconoscere la necessità di un’azione immediata in questo
campo vi fu nel 1998 l’allora presidente della Fondazione per il
patrimonio culturale prussiano Klaus Dieter Lehmann, che
riuscì a ottennere dal consiglio della fondazione
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