Page 320 - Il mercante d'arte di Hitler
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l’appartenenza al partito o allo sfruttamento del
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nazionalsocialismo come tale» .
Meisenbach ignora in modo programmatico il fatto che
quell’abbondanza di oggetti artistici e antiquariato sul mercato
tedesco sia stata condizionata dall’emigrazione di collezionisti e
mercanti d’arte ebrei ovvero dall’arianizzazione delle loro
attività o collezioni, attraverso l’esproprio, l’alienazione forzata
o la vendita della merce ben al disotto del suo valore reale. I
collezionisti ebrei, pronti a partire all’estero, hanno ceduto i
propri tesori per necessità, per poter pagare la tassa di fuga dal
Reich, innalzata in modo drastico dai nazisti, e l’imposta sul
patrimonio ebraico prevista a partire da novembre del 1938,
dove non di rado le varie trattenute e tasse prescritte
ammontavano anche all’ottanta per cento del loro capitale.
Dall’arianizzazione delle attività degli ebrei i mercanti d’arte
rimasti trassero dunque grande profitto, poiché a contendersi gli
affari sul florido mercato a quel punto erano rimasti solo pochi
concorrenti. La posizione di Meisenbach, cieca di fronte a
queste circostanze straordinarie, si ritrova non solo nei
principali attori, negozianti e banditori di allora; essa si riflette
anche nelle dichiarazioni dei collezionisti e dei direttori di
museo che riferiscono su Hildebrand Gurlitt in sua difesa.
Durante i processi di denazificazione gli attestati di buona
condotta sono parte fondamentale per arrivare a giudizio, poiché
rispetto ai procedimenti comuni nei tribunali speciali l’onere
della prova è invertito: non è la corte a dover provare la
colpevolezza dell’imputato, ma quest’ultimo a togliere
legittimità a ogni sospetto. Le prove consistono quasi
unicamente in testimonianze che, a causa delle difficoltà negli
spostamenti, vengono spesso rese in forma scritta. Come
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