Page 309 - Il mercante d'arte di Hitler
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una sedia, solo denaro e quadri, di cui non ci si può far niente?».
Gurlitt si autocommisera e fa la parte della vittima: «Che vuoi
che dica, a che serve lamentarsi? Bisognerebbe ricominciare,
ma non è permesso, solo per aver fatto ciò che il destino ci
aveva dato da fare». E nella lettera scritta a macchina aggiunge
a margine a mano: «Quanto odio tutto quello che è stato, come
vorrei poter tornare a quel mondo da cui nazisti mi hanno
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espulso» . Ma che nel mondo dei nazisti lui sia di fatto riuscito
a adattarsi tanto bene Gurlitt lo rimuove completamente. Solo di
tanto in tanto balena nella sua mente un barlume di senso di
colpa, come nella sua corrispondenza con il mercante d’arte
parigino Hugo Engel nel 1946, in cui ammette di aver opposto
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poca resistenza . Ma si tratta di un’eccezione, perlopiù Gurlitt
si dipinge come vittima. A volte, a seconda dell’interlocutore,
non ha davvero alcun pudore. Al mercante d’arte Jean Lenthal,
che è finito in campo di concentramento, scrive il 25 settembre
1947 come prima cosa: «Anch’io ero sempre in fuga e in
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pericolo perenne» .
La realtà e la percezione che Gurlitt ha di sé divergono in
modo eclatante. In questa situazione crescono anche le tensioni
tra lui e Haberstok, che si tengono reciprocamente d’occhio con
diffidenza: cosa dirà l’uno quando sarà interrogato sull’altro
dagli ufficiali della tutela dei beni artistici? Anche tra i familiari
i nervi sono piuttosto tesi, fino ad arrivare a scene di cattivo
gusto. La suocera di Haberstock insulta Helene pubblicamente
per strada, perché a quanto pare Hildebrand Gurlitt sta
raccogliendo materiale contro Karl Haberstock. Gurlitt lo ritiene
«una delle figure trainanti del Terzo Reich e della sua politica
artistica», ma non vuole essere lui a dirlo direttamente ai giudici
del tribunale di denazificazione, chiede piuttosto a vecchi
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