Page 15 - Il mercante d'arte di Hitler
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almeno in un primo momento, rinuncia così al proprio impegno
di difensore delle avanguardie? Cosa ha spinto l’instancabile,
tenace paladino dell’arte moderna a lasciarsi allontanare? Il
Primo maggio 1933 è per lui un punto di svolta. La sua visione
dell’arte moderna quale simbolo della nazione tedesca non è
conciliabile con l’ideologia nazionalsocialista, di questo deve
prendere atto. L’autentica massa di partecipanti alla “giornata
dei lavoratori” indetta da Hilter è la prova per Gurlitt che le
aspirazioni della maggioranza muovono in un’altra direzione.
Quel pubblico esteso a tutti gli strati della società, pubblico che
egli stesso tenta di raggiungere fin dai tempi del proprio
impegno giovanile come curatore a Zwickau, non ha ormai più
alcuna intenzione di seguirlo, la sua è una battaglia persa. Né
può più utilizzare l’Hamburger Kunstverein come strumento del
proprio lavoro pedagogico. Rifiutandosi di issare la bandiera
nazista, Gurlitt esprime all’esterno la propria volontà di
resistere, quando a quel punto, in realtà, dentro di sé ha già
desistito. Se sul piano pubblico manifesta ancora fermezza,
come privato uomo d’affari si lascerà presto corrompere, in men
che non si dica.
Il Primo maggio 1939 è un giorno fatidico per Hildebrand
Gurlitt. Qui la sua vita si spacca tra un prima e un poi. Più tardi,
riguardando alla propria esistenza, scriverà di non trovarvi
«nulla di eccezionale, nei suoi cambiamenti la mia vita è
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rimasta fin troppo tipicamente tedesca» . Con queste parole
intende forse riferirsi proprio a quelle ambivalenze con cui,
invece, egli non ha mai fatto i conti. Gurlitt, al contrario, ha
sempre guardato a se stesso come a uno stratega costretto a
portare a termine per vie traverse la propria missione:
l’affermazione dell’arte moderna. In tal senso egli minimizza le
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