Page 20 - Il mercante d'arte di Hitler
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dagli anni Venti, dei circoli reazionari nazionalpopolari. Molti
direttori di museo e artisti non riconoscono il pericolo
imminente.
Neppure Gurlitt in quel periodo deve aver previsto possibili
nuovi attacchi, né una tale brusca fine del pubblico
riconoscimento tributato all’arte moderna. E gli ulteriori
sviluppi al Kunstverein dopo le sue dimissioni sembrano dargli
in qualche modo ragione: in un primo tempo, infatti, non c’è
segno di rottura. Dopo di lui è lo stesso Krogmann a prendere il
comando, e nel programma cambia ben poco. Tutti gli artisti
prima esposti da Gurlitt sono ancora lì in bella vista nella Neue
Rabenstraße. Solo nel 1936 si procede a un intervento di forza:
un’altra mostra viene chiusa, il direttore in carica del
Kunstverein destituito, l’associazione affidata direttamente al
dipartimento del ministero per l’Educazione del popolo e della
Propaganda e l’edificio in Neue Rabenstraße messo all’asta
giudiziaria.
Gurlitt nel frattempo ha trovato il modo di guadagnarsi da
vivere nel commercio dell’arte, l’ultima via rimastagli, come
dirà più tardi. Questa opzione, in un primo tempo, non gli va
probabilmente troppo a genio. Più che uomo d’affari, Gurlitt si
concepisce curatore, per lui l’arte ha un valore ideale, non è una
merce. Sul mercato tuttavia egli si presenta come mediatore tra
collezionisti dallo spirito affine al suo, più tardi persino quale
presunto difensore dell’arte bandita, quando offrire in pubblico
opere di quest’ultima diventerà pericoloso. Comincia qui quella
strisciante peregrinazione morale, dove il confine tra lucro e
salvaguardia non sarà più distinguibile e i collezionisti ebrei
tenteranno di sbarazzarsi dei propri tesori il più rapidamente
possibile, vendendoli a prezzi stracciati.
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