Page 144 - Il mercante d'arte di Hitler
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all’andata e dieci al ritorno, la permanenza è di tre settimane.
«Mi tocca una grande responsabilità», fa sapere con orgoglio
Cornelius Gurlitt al figlio maggiore. Dopo la sconfitta della
prima guerra mondiale e il conseguente isolamento della
Germania, questa è la prima volta, spiega, che «possiamo
tornare a riaffacciarci a pieno diritto in un contesto
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internazionale» . Hildebrand accompagna il padre in qualità di
corrispondente della «Frankfurter Zeitung». La delegazione è
ospite in una decina di città. Gurlitt padre ne è lusingato: «Ora
sono dunque una star e un’autorità internazionale. Ah, che
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mascalzone!» . Hildebrand citerà il viaggio successivamente nel
suo curriculum, millantando però di averlo intrapreso di sua
iniziativa come soggiorno di studi.
La traversata è turbolenta e dura per questo un giorno in più
del previsto. Cene, discorsi, inviti attendono la delegazione già
il primo giorno; il programma prosegue il giorno seguente con
un viaggio in macchina di undici ore nei dintorni di New York,
«preceduti da tre poliziotti» che gli fanno da scorta, come
riferisce Marie Gurlitt alla cognata Mary in una lettera. E
tuttavia: «Di bello per i suoi gusti [Cornelius] ha visto ben poco,
a parte tanta imponenza, strepito e agitazione» . In Kaitzer
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Straße Marie attende con trepidazione assieme alla nuora le
ultimissime notizie dagli Stati Uniti, che le arrivano però
soltanto ogni due settimane. Nei suoi articoli Hildebrand parla
di quel che ha visto negli Stati Uniti, descrive l’architettura del
Paese, i musei e le gallerie di New York. I suoi pezzi
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compaiono anche nella «Vossische Zeitung» e su «Cicerone» .
Le sue considerazioni critiche sulla scena artistica dell’epoca
arrivano persino sul quotidiano francese «L’Humanité». Gurlitt
lamenta, rispetto all’Europa, la penuria di gallerie, la scarsa
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