Page 81 - Papaveri e papere
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su Repubblica, Ginzburg osserva che la frase nasconde il riferimento a
            un testo su cui a lungo si è fondato l’antiebraismo cristiano.

            «Fratelli maggiori» è infatti un passo famoso della Lettera ai Romani.

            San  Paolo  vi  sostiene  che  gli  ebrei  —  «i  fratelli  maggiori»  –  devono
            essere sottoposti ai cristiani – fratelli minori – esattamente come Esaù
            fu sottoposto a Giacobbe, al quale aveva ceduto la primogenitura per il

            famoso piatto di legumi. Pronunciare quelle parole in sinagoga era stata
            dunque  una  gaffe  deliberata  o  uno  scivolone,  che  nella  classica
            interpretazione di Freud sarebbe provocato da una pulsione aggressiva

            censurata  dall’Io  conscio?  Né  l’una  né  l’altro,  si  risponde  lo  storico:
            semplicemente,  «il  papa  cercava  una  definizione  e  dal  fondo  della
            memoria  ne  affiorò  una,  quella  tradizionale».  Forse  perché,  come

            osserva  Giovanni  Mariotti  sul  Corriere  della  Sera,  «da  sempre  gli
            uomini dicono le stesse cose con parole diverse, e cose diverse con le
            stesse parole».

            Fu  invece  vera  gaffe  vaticana,  e  del  genere  peggiore  —
            comportamentale -, quella consumata ai danni di un giornalista che ho

            già citato, Domenico Del Rio, uno dei più accorti osservatori e narratori
            di cose ecclesiastiche. Onestamente, non è provato che il papa ne abbia
            avuto parte, o ne fosse neppure a conoscenza. Ma il clamore fu tale che

            difficilmente lui,  così attento  ai  media, poteva  esserne all’oscuro.  Del
            Rio  aveva  pubblicato  su  Repubblica  una  vasta  inchiesta  sulle  linee
            essenziali del pontificato, in cui giudizi positivi si alternavano, com’è

            ovvio,  ad  analisi  critiche.  Di  fatto,  ai  piani  alti  dei  Sacri  Palazzi  il
            lavoro  non  piacque,  e  L’Osservatore  Romano  fu  incaricato  di  mettere
            nero su bianco il disappunto. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Del
            Rio  venne  infatti  escluso  dalla  lista  degli  inviati  al  seguito  di  Sua

            Santità  (com’è  noto,  viaggiatore  instancabile),  e  quindi  dall’imbarco
            sull’aereo papale, perché «i servizi da lui pubblicati hanno un timbro di
            neo-integrismo  radical-clerical-laicista».  Una  discriminazione  in  piena

            regola che  mostra come il buon sacerdote polacco, quando perdeva la
            pazienza,  rimpiangesse  forse  i  poteri  assoluti  del  suo  lontano
            predecessore Pio IX…

            Il successore Benedetto XVI raramente parla a braccio, e comunque non si

            avventura mai in quei dialoghi diretti con la folla amati invece da Giovanni
            Paolo II. Questo riduce, come è ovvio, il rischio delle gaffe. Ma le rende
            potenzialmente disastrose, quando comunque si verificano, perché a quel
            punto sembrano portare il timbro di una meditata ufficialità.
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