Page 80 - Papaveri e papere
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America  Latina,  nel  novembre  1993.  Secondo  quanto  riferisce
            Domenico Del Rio, gli chiedono: «Santo Padre, qué es lo que mas le

            gusta corner en Colombia?» cosa le piace mangiare di più in Colombia?
            «El hombre»,  l’uomo,  risponde  lui  solennemente.  E  che  aveva  capito:
            che cosa ammira maggiormente in Colombia?


                               Fuori dal dogma, anche i papi sbagliano…

            Dopo quella prima esortazione a «corriggerlo», i parrocchiani romani di

            Giovanni Paolo II non se la facevano più ripetere, quando era il caso di
            intervenire. E lui stava volentieri al gioco. Durante i riti pasquali del 1996
            appare  al  balcone  del  palazzo  di  Castelgandolfo  per  pregare  con  i
            pellegrini; al termine, come di consueto, inizia a leggere l’elenco dei saluti.

            A un certo punto tocca a un gruppo venuto da Aprilia, vicino a Roma, ma
            il papa sbaglia città e dice invece Acilia. I fedeli reagiscono a gran voce,
            gridando che no, non va bene. E lui, daccapo: «Acilia, non è così?» «No,

            nooo!» fa in coro la gente. Allora lui mostra il foglio che ha in mano: «C’è
            scritto  così, Acilia!  Dovete  rimostrare  in  Segreteria  di  Stato!»  aggiunge
            malandrino. E chissà che non stesse pensando a errori più gravi della Curia
            romana.


            Fu invece un lapsus autentico (e anche parecchio freudiano) quello che
            lo  spinse  a  scambiare  papa  all’inizio  del  suo  discorso  al  Parlamento
            italiano, durante la visita alla Camera dei Deputati del novembre 2002.
            Voleva  citare  Pio  XI  come  «il  pontefice  della  Conciliazione»,  e  disse

            invece  Pio  IX.  Wojtyla  si  corresse  subito,  ma  rimase  per  qualche
            momento a gravare sull’Aula la fugace allusione  al  papa regnante nel
            1870, quando le truppe italiane presero Roma, e il pontefice si rinchiuse

            in  Vaticano  dichiarandosi  «prigioniero».  Ne  seguirono  più  di
            cinquant’anni di tensioni tra Stato e Chiesa, laici e cattolici, che proprio
            il Concordato voluto nel 1929 da Pio XI cercò di sanare.

            Fu lo storico Carlo Ginzburg a segnalare un altro ipotetico lapsus del

            papa polacco. E giusto a proposito di una frase che, come poche altre
            pronunciate  da  pontefici,  contribuiva  a  rigettare  per  sempre  la
            tentazione  diabolica  dell’antisemitismo  tra  i  cristiani.  Nell’aprile  del
            1986, Giovanni Paolo II visita la sinagoga di Roma e agli ebrei che lo

            accolgono dice: «Siete i nostri fratelli prediletti e in un certo modo,  si
            potrebbe dire, i nostri fratelli maggiori». Parole che vengono applaudite
            anzitutto  dagli  interessati,  e  paiono  al  mondo  intero  un  omaggio  al

            popolo dell’Antico Testamento. Solo undici anni più tardi, in un articolo
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