Page 22 - Papaveri e papere
P. 22

Nel  momento  stesso  in  cui  pronunciavo  queste  sciagurate  parole,  ne
            realizzavo  anche  l’orrore.  «In  meglio,  naturalmente»,  mi  affrettai  ad

            aggiungere  nel  tentativo  disperato  di  metterci  una  toppa,  e  ottenendo
            invece  —  ovviamente  —  che  si  allontanasse  in  tutta  fretta,  con  un’aria
            decisamente disgustata.

            In questo episodio avete visto il funzionamento tipico della gaffe che si

            potrebbe  definire  «rinforzata».  Il  suono  della  prima  sciocchezza
            proferita  produce  un’immediata  sensazione  di  gelo  tra  chi  l’ha
            pronunciata e chi l’ha subita. Il colpevole si affanna a rimediare e nella

            fretta determina una catastrofe dalla quale non c’è più  3.6 via d’uscita,
            checché  ne  dicano  gli  innumerevoli  manuali  scritti  apposta  per
            indicarne  una.  Il  fatto  è  che  la  gaffe  nelle  normali  relazioni  sociali

            rappresenta davvero, come è ormai ampiamente noto, l’infrazione di un
            codice non scritto, la rottura di regole di buon comportamento pubblico
            faticosamente elaborate, soprattutto nei secoli borghesi, per  evitarci la
            «rusticità» dei tempi andati. I codici di una decente convivenza civile

            — che impongono di non mettere in rilievo il passare del tempo sul viso
            di  una  donna,  di  fingere  indifferenza  di  fronte  a  un  difetto  fisico,  di
            sorvolare  sull’ignoranza,  l’incomprensione,  la  differenza  —  servono

            proprio a impedire che ci facciamo del  male  l’un l’altro.  L’imbarazzo
            che circonda la gaffe è la prova, a contrario, del vincolo sociale che è
            stato momentaneamente interrotto.


                                  Era una pertica, adesso è un granchio

            Nei  dizionari  italiani  la  parola  francese,  ormai  universale,  è  di  solito
            resa come balordaggine, sproposito, granchio (secondo lo Zingarelli), o

            anche  (per  il  Devoto-Oli)  azione  o  espressione  inopportuna,  atto  o
            parole che rivelino inesperienza o goffaggine. Gli studiosi del fenomeno
            chiariscono che il termine francese compare nel 1872 e deriva dal verbo
            gaffer,  che  letteralmente  significa  «afferrare  con  il  gancio  o  gaffa»:

            quest’ultima  è  una  lunga  pertica  con  due  rami,  uno  diritto  e  l’altro
            ricurvo, proprio per agganciare la barca. In francese si usa spesso come
            sinonimo anche faux pas, passo falso, in inglese si dice anche blunder o

            si  ricorre  alla  frase  idiomatica  to  drop  a  brick  (lasciar  cadere  un
            mattone),  in  russo  infine  vale  pure  sdelat  promach,  che  sarebbe  far
            cilecca, tirare un colpo a vuoto. Non è proprio questo che fa il gaffeur?

            Sì,  ma  ciò  che  provoca  rossori  e  imbarazzi  è  precisamente  la  rottura

            dell’etichetta sociale in un tempo in cui abbiamo infine deciso di darcene
   17   18   19   20   21   22   23   24   25   26   27