Page 64 - Francesco tra i lupi
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All’indomani dell’elezione di Francesco – Yorio era morto – Jalics ha rilasciato una dichiarazione per dire
    che tempo addietro era stato a Buenos Aires, aveva celebrato messa con l’arcivescovo Bergoglio e lo aveva
    pubblicamente abbracciato al termine del rito. Bergoglio, ha precisato Jalics, «non ha denunciato me e Yorio».
    Aggiungendo tuttavia una frase, da cui traspare un’antica ferita. «Mi sono riconciliato con quegli eventi e per
    me l’episodio è chiuso... auguro a papa Francesco la copiosa benedizione di Dio».
      È fuor di dubbio che Bergoglio non ha mai tradito i due confratelli, anzi si offrì di ospitarli nel Colegio
    Máximo de San Miguel di Buenos Aires per metterli al riparo. La situazione nella seconda metà degli anni
    Settanta era molto sfaccettata. Bergoglio, che non condivideva assolutamente le analisi politiche della teologia
    della liberazione, richiamò formalmente i due gesuiti, li invitò a trasferirsi altrove e ordinò di sciogliere la
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    comunità di base da loro creata .
      Al loro rifiuto, ricorda il gesuita argentino Ignacio Pérez del Viso, che era loro amico, il superiore provinciale
    reiterò l’ordine. Yorio e Jalics fecero obiezione di coscienza e allora «Bergoglio si rivolse a Roma al preposito
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    generale  dei  gesuiti  Pedro  Arrupe,  il  quale  rispose  che  i  due  dovevano  obbedire» .  Privati  dell’incarico
    pastorale per conto della Compagnia di Gesù, i due si videro rifiutare il mandato canonico da parte dell’allora
    arcivescovo di Buenos Aires Juan Carlos Aramburu.
      Senza copertura ecclesiastica, Yorio e Jalics si trovarono soli di fronte all’apparato repressivo della dittatura,
    che  si  sentì  più  libera  di  colpire.  Non  va  dimenticato  in  quegli  anni  l’atteggiamento  generalmente
    acquiescente della gerarchia episcopale argentina nei confronti del regime militare, nonostante l’assassinio e la
    “sparizione”  di  almeno  sedici  sacerdoti.  Quando  nel  pieno  della  repressione  il  presidente  di  Pax  Christi
    mons.  Luigi  Bettazzi  propose,  tramite  il  nunzio  Pio  Laghi,  che  a  Buenos  Aires  la  Chiesa  organizzasse  sul
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    modello cileno una «Vicaria della solidarietà» in aiuto alle vittime del regime, l’episcopato argentino rifiutò .
    Lo stesso episcopato, in testa il cardinale Aramburu, accettò senza proteste che l’assassinio del vescovo Enrique
    Angelelli nel 1976, massimo oppositore ecclesiastico del regime militare, fosse presentato come un incidente
    d’auto.
      Analizzando  il  rapporto  tra  Chiesa  e  dittatura  in  quegli  anni,  l’atteggiamento  della  gerarchia  ecclesiastica
    rivela orientamenti differenti. Ci sono stati pochi vescovi profeticamente impegnati contro il regime, altri
    vescovi  non  aperti  oppositori  ma  attivi  nel  soccorrere  i  perseguitati,  altri  ancora  che  a  vario  titolo
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    appoggiavano il regime o che interloquivano con la giunta senza scoprirsi . Esisteva anche una minoranza di
    ecclesiastici complici attivi del regime. Bergoglio, che all’epoca non era vescovo ma superiore provinciale dei
    gesuiti, ha fatto sicuramente parte di coloro che aiutavano discretamente i perseguitati, ogniqualvolta fosse
    possibile.
      Soltanto  durante  il  giubileo  del  2000  la  conferenza  episcopale  argentina,  sotto  la  presidenza  di  mons.
    Estanislao Karlic, ha chiesto perdono perché «in diversi momenti della nostra storia siamo stati indulgenti
    verso le posizioni totalitarie, violando le libertà democratiche che scaturiscono dalla dignità umana. Perché
    attraverso  azioni  od  omissioni  abbiamo  discriminato  molti  dei  nostri  fratelli,  senza  impegnarci
    sufficientemente  nella  difesa  dei  loro  diritti».  Un  mea  culpa  pubblico  per  quanti  hanno  preso  parte  alla
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    «violenza contro le libertà, la tortura e la delazione, la persecuzione politica e l’intransigenza ideologica» .
      Nel 2006, da presidente della conferenza episcopale argentina, Bergoglio ha fatto diffondere una seconda
    dichiarazione di pentimento per gli «enormi errori contro la vita e la dignità umana, e [il] disprezzo per la
    legge e le istituzioni» con l’avvento del golpe del 1976.
      Al  di  là  della  questione  relativa  al  comportamento  dell’istituzione  ecclesiastica  durante  la  dittatura,  si  è
    discusso  in  Argentina  di  un  altro  argomento:  la  gestione  della  Compagnia  di  Gesù  da  parte  di  Bergoglio
    quando  ricopriva  la  carica  di  superiore  provinciale  dei  gesuiti.  Nell’ambiente  cattolico  più  d’uno,  a
    quattr’occhi, ammette che Bergoglio tra i gesuiti era «amato e odiato» per il suo modo di comandare e per
    alcune decisioni prese in quella stagione.
      Una delle sue prime biografe, Evangelina Himitian, riferisce in maniera esplicita che dovette «affrontare
    critiche e opposizioni». Con lei Bergoglio, da arcivescovo, è stato molto sincero: «Di errori ne ho commessi
    moltissimi, non lo nego. Errori e peccati. Sarebbe ipocrita da parte mia chiedere oggi perdono per i peccati e
    le offese che potrei avere commesso. Oggi chiedo perdono per i peccati e le offese che ho effettivamente
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    commesso» .
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