Page 68 - Francesco tra i lupi
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XI. Il programma della rivoluzione














    A Buenos Aires, negli ambienti cattolici e no, il giudizio sulle qualità di Bergoglio come dirigente è unanime.
    È un uomo di comando, dicono. Un «politico puro, con una capacità di lavoro straordinaria, tendenzialmente
    accentratore, una testa eccellente che ha ben chiaro il senso del potere».
      È  l’altra  faccia  della  dimensione  della  tenerezza  e  dell’accompagnamento,  che  ha  conquistato  il  cuore  di
    milioni  di  fedeli.  Francesco  ha  la  bontà  del  pastore  d’anime,  ma  non  è  buonista.  Ed  è  perfettamente
    consapevole di quanta resistenza e opposizione incontreranno le riforme che progetta per la Chiesa.
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      «Sono furbo», avverte i suoi avversari . Sa che ci sono scontri, dietro le quinte, e altri se ne vedranno a
    scena aperta, come avvenne sotto Giovanni XXIII e Paolo VI.
      Fin dai primi mesi del pontificato ha gettato le basi di un programma di vasto respiro. Punto di partenza è la
    piattaforma  delineatasi  durante  il  pre-conclave  in  base  alle  richieste  dei  cardinali,  espresse  nel  corso  delle
    congregazioni generali dal 4 all’11 marzo 2013. In quelle riunioni le proposte avanzate erano sostanzialmente
    tre: riformare la curia rendendola più snella ed efficiente, fare pulizia nella banca vaticana e promuovere la
    “collegialità”,  instaurando  consultazioni  frequenti  tra  il  pontefice  e  il  collegio  cardinalizio  e  le  conferenze
    episcopali, in modo da favorire la partecipazione dell’episcopato mondiale alle scelte strategiche papali.
      Francesco nel suo progetto e nelle sue dichiarazioni è andato al di là della piattaforma dei suoi elettori. Per
    certi versi ben oltre ciò che molti porporati potevano immaginare. Essendone consapevole, ha utilizzato il
    2013 per fissare in ondate successive i cardini del rinnovamento che ha in mente. Ha cominciato a luglio
    rivolgendosi al vertice dell’episcopato latino-americano incontrato in Brasile, ha continuato dopo l’estate – in
    maniera più colloquiale – con l’intervista alla «Civiltà Cattolica». Infine a dicembre ha sancito il suo progetto
    con un atto ufficiale del magistero papale, precisandolo nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium.
      Lo ha annunciato alla Chiesa intera, utilizzando canali differenziati e indicando obiettivi precisi per non
    finire risucchiato dalla routine curiale e dall’inerzia degli apparati come era accaduto a papa Ratzinger, che per
    timore e per estraneità alla gestione del potere non realizzò alcune innovazioni che pure aveva in testa.
      La rivoluzione di Francesco ha un nome: «Trasformazione missionaria della Chiesa». La parola d’ordine è
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    «abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”...» . Primo passo è la rimotivazione del
    clero, che non deve burocratizzarsi e affidarsi alle soluzioni disciplinari o «alla restaurazione di forme superate,
    che  neppure  culturalmente  hanno  la  capacità  di  essere  significative».  I  preti  non  devono  ridursi  a  fissare
    «tabelle di marcia» finalizzate a statistiche e verifiche di risultati. Francesco vuole un clero che non cada nella
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    tentazione di ideologizzare il messaggio evangelico o di gestire autoritariamente la parrocchia . «Il fenomeno
    del clericalismo – ricorda il papa a Rio de Janeiro parlando al consiglio dell’episcopato latino-americano –
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    spiega, in gran parte, la mancanza di maturità e di libertà cristiana in parte del laicato latino-americano» .
    Una  critica  che  non  vale  soltanto  per  il  continente  da  cui  proviene,  ma  che  si  applica  a  molte  regioni
    dell’impero cattolico. In Italia la conferenza episcopale impedisce da decenni che sia operante un organismo
    rappresentativo delle associazioni di fedeli cattolici, in grado di esprimersi liberamente e di interloquire con la
    gerarchia senza che sia fissato in anticipo cosa devono dire. Noi vescovi e preti, domanda Francesco, diamo la
    giusta libertà ai fedeli, «li appoggiamo e accompagniamo, superando qualsiasi tentazione di manipolazione o
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    indebita sottomissione?» .
      È male, ammonisce, quando la Chiesa invece di essere missionaria, al servizio dei fedeli e degli uomini di
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    buona volontà, capace di avvicinarsi ai lontani, pretende invece di essere «centro e controllore» . Francesco
    vuole una Chiesa aperta, che va verso il mondo. Critica le strutture ecclesiali non accoglienti e le parrocchie,
    che si limitano alla distribuzione dei sacramenti. Scuote i confessori: «Ricordo che il confessionale non deve
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    essere una sala di tortura, bensì il luogo della misericordia del Signore, che ci stimola a fare il bene possibile» .
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