Page 71 - Francesco tra i lupi
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Favorire  una  tendenza,  che  permetta  alle  Chiese  locali  di  distanziarsi  da  Roma,  «non  è  possibile.  Il
    particolarismo, come il centralismo, è un’eresia», ha ribattuto. I presidenti delle conferenze episcopali sono
    solo coordinatori, ha insistito, guai a considerarli vice-papi! 231
      Papa Francesco vuole interrompere il vizio delle denunce di ortodossia mandate a Roma dalle più svariate
    località  del  mondo,  quelle  insinuazioni  su  errori  dottrinali  che  spesso  rovinano  la  carriera  dell’accusato.
    «Credo che i casi debbano essere studiati dalle conferenze episcopali locali, alle quali può arrivare un valido
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    aiuto da Roma» . Senza molto parlarne il papa ha intenzione di modificare decisamente lo stile di lavoro della
    congregazione  per  la  Dottrina  della  fede,  storicamente  cane  da  guardia  contro  le  deviazioni  dottrinali.
    Incontrando i suoi membri all’inizio del 2014, il papa ha insistito perché lavorino in collaborazione con i
    vescovi  locali  e  le  conferenze  episcopali  nazionali  e  conducano  con  i  teologi  sotto  esame  un  «dialogo
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    costruttivo, rispettoso e paziente» .
      Più  di  ogni  altra  cosa  Francesco  è  convinto  che  per  il  papa  sia  indispensabile  non  regnare  in  maniera
    solitaria, ma governare con l’ausilio di organismi consultivi, all’interno dei quali la discussione sia reale. Per
    questo ha creato il suo consiglio della corona, il gruppo degli otto cardinali. E in questa prospettiva intende
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    utilizzare sia il collegio cardinalizio che il sinodo dei vescovi, rendendo «vera e attiva questa consultazione» .
    Con un’agenda concreta e di pochi punti, in modo che i pro e i contro si possano ben valutare.
      Specialmente al sinodo, una rappresentanza dell’episcopato mondiale che si riunisce in Vaticano almeno
    ogni tre anni, Francesco progetta di affidare il dibattito sulle questioni più spinose: la comunione ai divorziati
    risposati,  le  problematiche  legate  a  sessualità  e  fecondazione,  il  ruolo  dei  laici  nella  Chiesa,  attualmente
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    sottoposti ad un «eccessivo clericalismo che li mantiene ai margini delle decisioni» . Il che implica affrontare
    l’argomento delle funzioni da affidare alle donne. Francesco ha infatti posto l’obiettivo di inserire le donne nei
    centri decisionali della Chiesa.
      È un programma riformatore complesso. Le resistenze sono cominciate, a macchia di leopardo. C’è chi
    contesta un eccesso di democrazia con il rischio di sminuire il primato papale e chi si oppone a un ingresso
    femminile ai vertici del governo ecclesiale. «Già in Chiesa ci sono più donne che uomini. No alle quote rosa»,
    è la linea di resistenza su cui si attesta una parte della gerarchia.
      Nel progetto di governo resta nell’ombra finora la politica internazionale. Giovanni XXIII, Paolo VI e in
    maniera rilevante Giovanni Paolo II avevano una precisa concezione geopolitica. Francesco sembra muoversi
    spinto in primo luogo da preoccupazioni pastorali, quasi volta per volta. Il suo intervento nella crisi siriana è
    stato estremamente efficace e ha riportato la Santa Sede sulla scena internazionale dopo la lunga eclissi di
    Benedetto XIV. Quando tra fine agosto e i primi di settembre 2013 si profilava un attacco armato contro la
    Siria,  guidato  dagli  Stati  Uniti,  il  papa  ha  gettato  sulla  bilancia  l’autorevolezza  della  sua  personalità,
    interpretando l’opposizione alla guerra dell’opinione pubblica europea e anche di gran parte della popolazione
    statunitense.
      Rivolgendosi direttamente al presidente della Federazione russa Vladimir Putin, in occasione della riunione
    del G20 a Mosca, il pontefice ha ricordato che i conflitti armati creano sempre «divisioni profonde e laceranti
    ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi». Con un realismo apprezzato dalla diplomazia vaticana di
    lungo corso, Francesco ha messo in evidenza che troppi interessi di parte avevano prevalso sin dall’inizio della
    guerra  civile  in  Siria,  «impedendo  di  trovare  una  soluzione  che  evitasse  l’inutile  massacro  a  cui  stiamo
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    assistendo» . Nel chiedere con forza una soluzione pacifica, l’intervento del papa ha sicuramente favorito
    l’accordo in sede Onu, che ha bloccato l’invasione e dato il via al graduale smantellamento delle armi chimiche
    in possesso del regime di Assad.
      Alla sua prima sortita nell’arena politica internazionale, Bergoglio – conosciuto a Buenos Aires per la sua
    estraneità alle tecnologie – ha fatto un uso quotidiano di Twitter, occupando in continuazione la scena. 4
    settembre: «Si alzi forte in tutta la terra il grido della pace!». 5 settembre: «Con tutta la mia forza chiedo alle
    parti in conflitto di non chiudersi nei propri interessi». 6 settembre: «La pace è un bene che supera ogni
    barriera, perché è un bene di tutta l’umanità». Così ha proseguito per giorni, lanciando lo speciale hashtag
    #prayforpeace, mentre nel frattempo organizzava una veglia di preghiera a cui sono accorse centomila persone
    per fermare la guerra fratricida in Siria. All’indomani il papa argentino ha fatto ricorso, come d’abitudine, ad
    un linguaggio semplice e diretto. «Sempre rimane il dubbio – ha esclamato all’Angelus dell’8 settembre – se
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