Page 70 - Francesco tra i lupi
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il gesuita Spadaro è stato più esplicito: «I dicasteri romani sono al servizio del papa e dei vescovi: devono
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aiutare sia le Chiese particolari sia le conferenze episcopali» . Già questo prefigura una rivoluzione
copernicana, perché da strumento totalmente al servizio del pontefice la curia dovrebbe trasformarsi in
«meccanismo di aiuto» e di raccordo tra il papato e gli episcopati del mondo. Nell’intervista alla «Civiltà
Cattolica», che rappresenta il primo manifesto programmatico del suo pontificato, il papa rilancia con
franchezza molte critiche che da anni circolano sul potere curiale: «Quando non sono bene intesi, [i dicasteri
romani] corrono il rischio di diventare organismi di censura. È impressionante vedere le denunce di
mancanza di ortodossia che arrivano a Roma». Con molta chiarezza Bergoglio respinge l’idea di un potere
curiale e non intende che i dicasteri romani si sentano gestori della Chiesa universale. Questo almeno è il suo
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disegno .
È sintomatico che sia nell’intervista sia nell’esortazione apostolica Francesco non nomini mai il termine
“curia”, quasi a volere eliminare la parola simbolo di un potere. Il papa preferisce riferirsi più tecnicamente a
istanze definite «strutture centrali» oppure dicasteri romani. Nella millenaria ritualità della lingua, in auge nella
Chiesa cattolica, nominare una cosa o non farlo ha sempre un preciso significato.
Soltanto nel discorso del 21 dicembre 2013, in occasione degli auguri natalizi ai prelati e ai funzionari dei
dicasteri romani, il papa ha nominato espressamente la curia. Elogiando dedizione, professionalità e santità di
vita di tanti suoi membri, ma ripetendo un monito: «Quando l’atteggiamento non è di servizio alle Chiese
particolari e ai loro vescovi, allora cresce la struttura della curia come una pesante dogana burocratica,
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ispettrice e inquisitrice, che non permette l’azione dello Spirito Santo e la crescita del popolo di Dio» .
Parole che hanno già suscitato malumori. Modificare l’orientamento degli apparati centrali della Chiesa sarà
uno dei compiti più difficili del pontificato.
Il consiglio degli otto cardinali ha affrontato operativamente il problema. È stato stabilito d’intesa con il papa
che verrà redatto un nuovo statuto del governo centrale della Chiesa. L’ultima riforma è quella fatta nel 1988 da
Giovanni Paolo II con la costituzione apostolica Pastor Bonus, che ha riorganizzato i dicasteri e gli uffici
curiali, i tribunali ecclesiastici e i pontifici consigli affidando un forte ruolo di coordinamento al segretario di
Stato. Poche riunioni del consiglio degli otto cardinali sono bastate per capire che la costituzione di Giovanni
Paolo II non può essere ritoccata. Bisogna ripensare ex novo il modello di curia dopo secoli di potere ultra-
centralizzato.
Contemporaneamente Francesco vuole concedere più autonomia alle conferenze episcopali nazionali.
Rovesciando la posizione di papa Ratzinger, che già da cardinale aveva negato che le conferenze episcopali
potessero prendere decisioni vincolanti per i singoli vescovi di un paese, il pontefice argentino ha intenzione
di dotarle di uno statuto preciso, che le consideri «soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche
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autentica autorità dottrinale» .
All’opposto, il cardinale Ratzinger affermava nel libro-intervista Rapporto sulla fede del 1985 che le
«conferenze episcopali non hanno una base teologica, non fanno parte della struttura ineliminabile della
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Chiesa così come è voluta da Cristo, hanno soltanto una funzione pratica» . E ancora nel 2000 Ratzinger
ribadiva, da prefetto del Sant’Uffizio, che le conferenze episcopali «non costituiscono di per sé un’istanza
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dottrinale vincolante e superiore all’autorità di ciascun Vescovo» .
La questione non è una astratta disputa teologica. Da un lato evidenzia una divaricazione di opinioni tra il
papa in pensione e il papa regnante, dall’altro riguarda molto concretamente il modello di Chiesa da adottare
per il XXI secolo: una Chiesa imperiale rigidamente centralizzata come è avvenuto per secoli, e in particolare
nel mezzo millennio trascorso dal concilio di Trento, oppure una Chiesa più comunitaria, in cui il primato
papale è bilanciato da un’attiva collaborazione dei vescovi al governo centrale della Chiesa e da una certa
autonomia nell’autogestirsi a livello nazionale?
Non è indispensabile ad una religione mondiale avere una struttura centralizzata. L’islam, l’ebraismo o il
buddismo hanno superato i millenni senza avere un “Vaticano”. Il mondo protestante o dei movimenti
evangelical esiste e si espande a prescindere da organismi centrali. Per la Chiesa cattolica, la sua storia e la sua
autocomprensione, la proposta di Francesco di arrivare ad un modello più partecipativo rappresenta tuttavia
una sfida. E infatti immediatamente è venuta una ruvida critica da parte di chi occupa il posto un tempo del
cardinale Ratzinger: l’arcivescovo Ludwig Müller, prefetto della congregazione per la Dottrina della fede.