Page 59 - Francesco tra i lupi
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diretta a spiegare la determinazione di Giovanni Paolo II nello schierarsi attivamente contro l’invasione
dell’Iraq, con il suo grido drammatico del 16 marzo 2003: «Mai più guerra, mai più, mai più», pronunciato
dalla finestra del suo studio con la faccia gonfia e i gesti appesantiti dal Parkinson.
Per Francesco è la stessa cosa. Quando parla di povertà e sfruttamento non è perché ha letto dossier. Ha
camminato lungo le fogne a cielo aperto delle baraccopoli, ha preso il microfono in plaza de la Constitución a
Buenos Aires per denunciare la schiavitù nelle fabbriche clandestine e la tratta di minorenni e giovani donne,
rapite nelle regioni dell’interno e avviate alla prostituzione nel silenzio complice tra bande di malviventi e
settori delle istituzioni locali. Fame, violenza, brutalità, rabbia repressa, spogliazione di dignità, incertezza
quotidiana, gente sulle strade prostrata dalla droga o morta sui marciapiedi... Tutto questo Bergoglio lo ha
incontrato faccia a faccia, anno per anno camminando e spostandosi con i mezzi pubblici nella capitale
argentina.
Ecco perché alza la voce, quando parla degli immigrati affogati in mare o approdati in Italia sui barconi dei
mercanti di carne umana: «Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Per le giovani mamme che
portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?
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Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”...» .
Misteriosamente la Chiesa cattolica riesce spesso a eleggere i pontefici giusti nei passaggi epocali. Giovanni
XXIII arriva sul crinale del disgelo tra il blocco occidentale e quello sovietico, Paolo VI coincide con il
movimento planetario di decolonizzazione. Giovanni Paolo II marca la fine della cortina di ferro. Francesco è
diventato papa in una stagione di crisi mondiale. Non sono più solo i paesi del Terzo mondo a soffrire di gravi
squilibri economici, povertà, emarginazione, corruzione, violenza, differenze intollerabili tra ceti iper-ricchi
e settori sociali alla fame.
La crisi, a partire dal crack finanziario internazionale del 2008, ha investito anche le nazioni del Primo
mondo che si credevano immuni, erodendo il ceto medio che ne costituisce la spina dorsale. In molti paesi, a
partire dagli Stati Uniti, l’ascensore sociale si è fermato. L’Unione europea attraversa una crisi seria e la
cancelliera tedesca Angela Merkel paventa il rischio di uno sfaldamento, in cui si possa scivolare da
«sonnambuli» con la stessa incosciente leggerezza di quando nel 1914 gli Stati europei si avviarono alla
catastrofe della prima guerra mondiale. La Grecia è prostrata dalla bancarotta, la Spagna lotta per riprendersi.
In Italia su una popolazione di sessanta milioni i poveri sono più di nove milioni e mezzo, di cui quasi cinque
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versano in una condizione di povertà assoluta .
Negli Stati Uniti si evidenziano forti spaccature sociali. All’inizio di questo decennio le rilevazioni del
Census Bureau registravano oltre quarantasei milioni di americani sotto la soglia di povertà, cioè con un
reddito inferiore ai 22.314 dollari annui per una famiglia di quattro persone. Ma circa la metà di questi poveri
sono considerati «poverissimi», perché vivono ad un livello inferiore al 50 per cento della soglia di povertà:
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non arrivano neanche ad un reddito di undicimila dollari l’anno per mantenere quattro persone .
La crescita impetuosa che si è realizzata nel prodotto interno lordo degli Stati Uniti tra il 2000 e il 2007 non
ha avuto nessuna ricaduta positiva sul reddito medio delle famiglie americane, ma è andata a vantaggio
unicamente dell’1 per cento della popolazione americana. Nel 2012 il reddito medio delle famiglie
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statunitensi è sceso ai livelli del 1995 . Lo stesso presidente Barack Obama si è detto allarmato che metà del
reddito nazionale sia in mano al 10 per cento degli americani.
Anche in un gigante economico come la Cina, dove centinaia di milioni di persone sono uscite nell’ultimo
trentennio da una condizione di fame assoluta, il divario tra ricchi e poveri è in continua crescita. In India il
numero di miliardari è aumentato di dieci volte negli ultimi dieci anni grazie ad un fisco favorevole, mentre
per quanto riguarda l’accesso della popolazione ad una sana nutrizione il paese è in fondo alla classifica
mondiale. Spiega l’economista Stefano Zamagni che la «globalizzazione ha certamente diminuito la povertà
assoluta, quella di chi mette assieme meno di due dollari al giorno, ma ha accresciuto in modo preoccupante i
poveri, ossia chi ottiene meno della metà del reddito pro-capite prevalente nella comunità di appartenenza».
Un dato significativo: tra il 1980 e il 2007 «in gran parte dei paesi del pianeta i redditi da lavoro sul Pil sono
scesi di oltre nove punti in media e la concentrazione della ricchezza ha raggiunto punte mai viste in
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precedenza» .
Il rapporto Oxfam del gennaio 2014 (Working for the few) certifica che il reddito di 85 super-ricchi equivale a