Page 58 - Francesco tra i lupi
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nazionale... Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la
promozione dei poveri». Perché ovunque, chi è attento, può sentire il grido del povero. La questione di fondo
è l’inaccettabilità di una divaricazione assoluta tra economia e bene comune.
Roma – ha ricordato alla messa solenne in Vaticano il 31 dicembre 2013 – è piena di turisti ma anche di
poveri, infelici e senza lavoro. «Il 2014 sarà migliore se non ci saranno persone che guardano la vita solo dal
balcone o in cartolina».
Il papa argentino ha le idee molto chiare. Non si potrà risolvere radicalmente il problema dei poveri se non
rinunciando alla dottrina dell’«autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria». C’è nella
Evangelii Gaudium un giudizio critico assai determinato nei confronti dell’ottimismo ideologico del
neoliberalismo selvaggio, contro cui si scagliava con durezza già papa Wojtyla. Francesco lo dice
esplicitamente: «Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato».
Affrontare in maniera strutturale il nodo della disuguaglianza iniqua «richiede decisioni, programmi,
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meccanismi» specifici per integrare i poveri nella società e andare al di là del mero assistenzialismo .
Rush Limbaugh, commentatore radiofonico americano di grande successo, neo-conservatore, ha accusato il
papa di pronunciare frasi di «puro marxismo». È triste e incredibile, ha commentato: «Non sa di cosa parla,
quando si tratta di capitalismo e socialismo... Io sono stato varie volte in Vaticano: non esisterebbe senza
tonnellate di soldi. Ma a parte ciò, qualcuno ha scritto questa roba per lui o gliel’ha fatta arrivare... Capitalismo
senza limiti?... è una frase socialista per descrivere gli Stati Uniti». Su Fox News, la compagnia televisiva della
destra americana antistatalista, il papa è stato descritto come l’Obama della Chiesa cattolica. Jonathon
Moseley, esponente del movimento Tea Party, che a partire dal settembre 2013 ha bloccato per mesi in
Congresso l’approvazione del bilancio statale, è andato più in là. Su «World Net Daily» ha affermato che «Gesù
sta piangendo in paradiso per le parole del papa... Gesù parlava all’individuo, mai allo Stato o alla politica del
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governo. Era un capitalista, che predicava la responsabilità personale, non un socialista» .
Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium Bergoglio non usa mai le parole capitalismo o socialismo.
Giovanni Paolo II da questo punto di vista è stato anche più duro nel linguaggio. Dopo la caduta del muro di
Berlino ha iniziato ad attaccare violentemente il liberismo selvaggio e l’«ideologia capitalista radicale», come la
definì durante una visita in Germania, a Paderborn, nel 1996. Nella sua enciclica Centesimus annus del 1991
Wojtyla criticava chi pensa che i problemi della giustizia sociale possano essere risolti affidandosi
«fideisticamente... al libero sviluppo delle forze di mercato». E distingueva nettamente tra il fenomeno positivo
della «libera economia» e la realtà negativa di un «capitalismo» inteso come un «sistema in cui la libertà nel
settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà
umana integrale... il cui centro è etico e religioso».
Gli interventi di papa Francesco si inseriscono nella robusta linea di dottrina sociale della Chiesa, che in un
secolo è diventata sempre più incisiva. Dalla prima enciclica sociale di Leone XIII Rerum novarum del 1891
alla Pacem in terris di Giovanni XXIII, alla Populorum progressio di Paolo VI, che denunciava l’«ingiustizia [che]
grida verso il cielo» delle situazioni in cui «popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di
dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione
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culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica...» .
Anche Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate insisteva sui doveri etici del mondo dell’economia e
della finanza e denunciava, tra l’altro, l’erosione crescente dei «diritti umani dei lavoratori» sia nel Primo che
nel Terzo mondo. Il papa tedesco aveva avanzato la proposta che si creasse una «autorità politica mondiale»
garante di un ordinamento internazionale, giuridico ed economico, orientato allo sviluppo solidale dei popoli.
Tra tutti i papi, i loro documenti e i loro discorsi, si coglie tuttavia in Francesco un particolare: il timbro
dell’esperienza personale. Bergoglio è vissuto lì dove le bidonville lambiscono i grattacieli. Ha conosciuto da
vicino l’odore della miseria a confronto con l’egoismo brutale delle classi dominanti. L’esperienza fa la
differenza. Karol Wojtyla aveva conosciuto la guerra da vicino. Lo sferragliare dei carri armati che invadono
una città, la crudeltà dell’occupazione, l’attività culturale clandestina come forma di resistenza spirituale, il
terrore delle retate che portano i prigionieri in un campo di concentramento, l’avvicendarsi di due dittature.
Un vissuto diverso da chi, come Joseph Ratzinger, aveva passato gran parte della guerra nel suo villaggio
bavarese e solo per pochi mesi aveva visto da vicino il conflitto, quando ormai stava per finire. È l’esperienza