Page 36 - Francesco tra i lupi
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cui Pio IX nel 1870 volle affermare come dogma che il papa, parlando ex cathedra in materia di fede o sui
costumi, gode dell’infallibilità «e tali definizioni del romano Pontefice (sono) per se stesse e non per il
consenso della Chiesa, irreformabili». Chi osasse contraddire merita la scomunica.
Da allora l’infallibilità è risultata così ingombrante che, tranne nel caso del dogma dell’assunzione di Maria in
cielo «anima e corpo», proclamato da Pio XII nel 1950, il papato ha evitato di utilizzarla. Il principio di
collegialità, decretato dal concilio Vaticano II, è stato concepito proprio per riequilibrare lo strapotere papale.
L’idea di una gerarchia onnipotente, che non sbaglia mai, è profondamente radicata nell’autocomprensione
della Chiesa cattolica. Pio XII, nell’esercizio del suo potere, amava dire: «Non voglio collaboratori, voglio
esecutori». Il cardinale Giuseppe Siri, vissuto a cavallo del concilio, sosteneva: «Il mio successore non deve
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fare nulla, ho pensato a tutto io... la diocesi di Genova potrà andare avanti da sola» .
Cinquanta o cento anni sono un battito di ciglia nella storia della Chiesa. Cambiano i linguaggi, ma la
concezione piramidale della gerarchia continua a pervadere l’organizzazione ecclesiale. La rivoluzione di
Francesco prevede di ridare vitalità al sinodo dei vescovi, la rappresentanza istituita da Paolo VI a titolo
consultivo per mantenere viva l’esperienza conciliare. Nel suo mezzo secolo di vita, il sinodo dei vescovi ha
finito per essere una grande conferenza, convocata in genere ogni tre anni in Vaticano su temi generali. Ai
vescovi sono concessi pochi minuti a testa per un intervento. Gruppi linguistici preparano poi una serie di
proposizioni finali, rimaste sempre fini a se stesse.
Francesco ha deciso di cambiare radicalmente il modo di lavorare del sinodo per renderlo consultivo sul
serio. Alla prossima riunione, nell’ottobre 2014, ci sarà un’agenda precisa e i rappresentanti delle conferenze
episcopali, venuti dai vari continenti, potranno esprimersi con chiarezza su punti specifici. Francesco crede
molto nel valore della partecipazione. Quando si profilava il rischio di un attacco occidentale alla Siria,
Francesco si consultò con molte persone in curia prima di opporsi pubblicamente alla guerra. «Dio non parla
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ad una persona da sola, parla quando si è insieme», ha confidato a Maria Voce dei Focolarini . In curia non
tutti sono d’accordo e c’è chi preme per una linea decisionista. Francesco ribatte: «Sento alcune persone che
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mi dicono “non si consulti troppo e decida”. Credo invece che la consultazione sia molto importante» .
Eppure il papa argentino non intende il suo ruolo come primus inter pares, una sorta di presidente di
multinazionale. Lo ha chiarito ai giornalisti tornando dal Brasile. Il suo modello implicito sembra assomigliare
all’organizzazione della Compagnia di Gesù, dove il preposito generale governa con l’aiuto di dieci assistenti
nominati dalla congregazione generale. Alla fine, però, la sua parola è legge.
Il cardinale Parolin prova a tradurre l’idea di partecipazione che Francesco ha in mente. «Si dice sempre che
la Chiesa non è una democrazia, però è bene che di questi tempi vi sia uno spirito più democratico nel senso
di un ascolto attento... Conduzione collegiale della Chiesa [significa] che si possano esprimere tutte le
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posizioni. Poi toccherà al papa prendere una decisione» .
Francesco ha la testa dura, dichiara un cardinale che lo conosce bene. Si muove con determinazione. Nel
suo primo anno ha dimostrato di dosare attentamente in curia riconferme di incarichi, conferimenti a
tempo, allontanamenti. Sono cadute teste. Nel settembre 2013 ha allontanato il potente capo della
congregazione per il Clero, cardinale Mauro Piacenza, punta di diamante dello schieramento conservatore in
curia, che durante il conclave era stato accreditato come segretario di Stato in caso di elezione a papa del
cardinale brasiliano Scherer. Chi mira così in alto, in Vaticano poi paga sempre.
Il sessantanovenne Piacenza, età giovane per chi opera nel palazzo apostolico, è stato spostato alla guida della
Penitenzieria apostolica, ufficio che si occupa di indulgenze, assoluzioni e dispense. A ottobre Bertone ha
perso la segreteria di Stato e a gennaio è stato sostituito alla commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior,
l’ultimo incarico operativo che gli restava. Con lui sono stati allontanati il cardinale Domenico Calcagno,
presidente dell’Apsa (la cassaforte patrimoniale del Vaticano), e il cardinale Scherer, il papabile brasiliano
bruciato perché troppo legato a Bertone.
Due altri papabili sono stati invece valorizzati. Il canadese Ouellet è stato riconfermato alla guida della
congregazione dei Vescovi, mentre l’ungherese Erdö è stato nominato relatore al sinodo dei vescovi
dell’autunno 2014.
Gradualmente, Francesco ha disarticolato il sistema di potere di Bertone nei settori chiave economici. Un
altro ecclesiastico a lui legato, mons. Giuseppe Sciacca, ha perso il posto di segretario generale del