Page 39 - Francesco tra i lupi
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aveva cominciato a circolare qualche tempo prima del conclave. Una massa di credenti, sfiduciata da una
    Chiesa che sentiva matrigna e lontana, aspettava spasmodicamente una figura come lui. Quando si è recato ad
    Assisi,  nell’ottobre  2013,  uno  striscione  lungo  la  strada  lo  ha  salutato  affettuosamente:  «1226-2013.  Ci  sei
    mancato Francesco».
      Gli  artisti,  nei  momenti  di  felicità  creativa,  sono  profeti.  Colgono  lo  spirito  dei  tempi  e  l’anima  delle
    moltitudini. Per pura coincidenza, a ridosso della rinuncia di Benedetto XVI, il regista cattolico Ermanno
    Olmi pubblicava una Lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù. Descriveva una Chiesa ufficiale «madre
    distratta,  più  sollecita  dei  fasti  dei  cerimoniali»,  attaccata  ai  beni  temporali,  scossa  da  scandali  e  intrighi,
    dimentica  della  primavera  del  concilio  Vaticano  II.  «E  dal  poverello  di  Assisi  cosa  abbiamo  imparato  e
    trascurato?», chiedeva Olmi. «Sei davvero tu, Chiesa cattolica, la casa aperta non solo ai cristiani obbedienti,
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    ma anche a coloro che cercano Dio nella libertà, oltre i loro dubbi?» . Precorrendo temi poi toccati dal futuro
    papa  Francesco,  Olmi  implorava:  «Mostraci,  Chiesa,  che  hai  a  cuore  i  deboli,  che  sono  più  numerosi  e
    vengono al mondo solo per morire».
      Due  anni  prima,  al  festival  di  Cannes,  il  regista  Nanni  Moretti,  di  cultura  laica,  presentava  il  ritratto
    fulminante di un pontefice appena eletto, che non vuole regnare su una Chiesa in cui non si riconosce. «In
    questo momento – scandiva il papa riluttante del film, un Michel Piccoli straordinariamente somigliante a
    Francesco, anche nel modo di agitare timidamente la mano destra – la Chiesa ha bisogno di una guida, che
    abbia  la  forza  di  portare  grandi  cambiamenti,  che  cerchi  l’incontro  con  tutti,  che  abbia  per  tutti  amore  e
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    capacità  di  comprensione...» .  Senza  essere  famosi,  tanti  fedeli  semplici,  interrogati  ai  tempi  di  papa
    Ratzinger  in  piazza  San  Pietro  sul  tipo  di  fede  che  avevano  in  cuore,  rispondevano  con  le  parole  di
    un’ostetrica credente: «Per me Gesù è soprattutto misericordia».
      Papa Francesco è sulla stessa lunghezza d’onda con la maggioranza dei cattolici. Se il pastore, come sostiene,
    deve avere l’«odore delle pecore», il suo gregge riconosce in lui il proprio odore. C’è qualcosa di istintivo nel
    reciproco toccarsi. «Io vedo con chiarezza – così ha descritto Francesco la sua missione nei primi mesi di
    pontificato – che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il
    cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia.
    È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi
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    potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... e bisogna cominciare dal basso» .
      È sintomatico che quattro giorni prima dell’elezione di Bergoglio, mentre ancora imperava il clima di una
    Chiesa metafisica al di sopra di tutto, un esponente della gerarchia cattolica italiana – fossilizzata dall’insistenza
    sulla  sicurezza  dottrinale  e  la  difesa  dell’istituzione  ecclesiastica  –  attaccasse  frontalmente  proprio  questa
    immagine: «Per Olmi sembra che la Chiesa è forte solo se dà compagnia, vicinanza, assistenza. La Chiesa
    crocerossina  del  mondo,  vicina  alle  sofferenze  nuove  e  antiche  degli  uomini»,  scriveva  indignato  mons.
    Alberto  Carrara,  delegato  vescovile  per  la  cultura  nella  diocesi  di  Bergamo.  Ah  no,  controbatteva,  la
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    «prospettiva della fede è un’altra...» .
      Francesco proclama una Chiesa che non si fa «rinchiudere in piccoli precetti», non si aggrappa in «maniera
    esagerata  alla  sicurezza  dottrinale»,  non  trasforma  la  religione  in  ideologia,  ma  si  concentra  sull’annuncio
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    essenziale:  «Gesù  Cristo  ti  ha  salvato!» .  Il  papa  parla  di  una  Chiesa  «madre  e  pastora»  e  lo  esplicita
    chiaramente: «Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona... anche se la vita di una persona
    è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e
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    lo si deve cercare in ogni vita umana» .
      La ragione dello straordinario consenso di cui gode, risiede in questo messaggio. «Grazie, grazie» si sentiva
    urlare in piazza San Pietro tra la folla il giorno della messa di inaugurazione del pontificato. «Grazie» invece di
    «viva il papa». Grazie per il suo modo di parlare, di presentarsi, di essere. Tra i fedeli semplici si sentono i
    giudizi più intuitivi. «Hai visto? Abbiamo un papa», ha detto una madre anziana alla figlia manager. «Abbiamo
    un papa che si fa capire» si sentiva sui tram di Roma l’indomani dell’elezione. «Ora il papa vi mette in riga», ha
    esclamato la madre di un monsignore della Cei. Il vicario di Anagni, don Alberto Ponzi, racconta che i fedeli
    hanno cominciato a pungolare i sacerdoti, richiamandosi a Francesco: «Il papa ha detto, il papa ha fatto...»,
    ammoniscono.  Succede  in  altre  regioni  e  nazioni.  Accade  che  uomini  e  donne  agnostici  ammettano  di
    prestare improvvisa attenzione al telegiornale, quando annuncia una notizia sul papa. Persone che mai prima si
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