Page 41 - Francesco tra i lupi
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perché abbia la perseveranza di andare avanti, risponde il papa, «ma anche il coraggio di tornare indietro, se
    capisce che quella non è la strada giusta».
      Francesco ama parlare per parabole. Al suo primo Angelus raccontò di quando si trovò di fronte una donna
    ultraottantenne, che gli disse sicura: «Il Signore perdona tutto». «Ma lei come lo sa, signora?», chiese Bergoglio.
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    «Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe» . I racconti servono a Francesco per lanciare
    un messaggio, che rovesci il paradigma di una Chiesa seduta sullo scranno del giudice davanti a fedeli simili a
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    imputati. «Dio mai si stanca di perdonare... Noi ci stanchiamo, noi non vogliamo... Lui sempre perdona» .
      Dio è un padre misericordioso, ha tanta pazienza. Dio è più grande del peccato. Nessuno si lasci scoraggiare.
    L’appello alla tenerezza divina si accompagna alla tenerezza verso il prossimo. Il cristiano, che chiede a Dio,
    deve essere pronto a dare agli altri. «La gente oggi ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno
    che noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore, che scalda il cuore, che risveglia la speranza,
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    che attira verso il bene», esclama una domenica . Non si deve essere duri di cuore.
      Ai superiori degli ordini religiosi, sempre parlando per immagini, inculca di non puntare a una formazione
    basata  unicamente  su  regole  e  dottrine.  «La  formazione  è  un’opera  artigianale,  non  poliziesca.  Dobbiamo
    formare il cuore. Altrimenti formiamo dei piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di
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    Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca» .
      L’appello  al  cuore,  in  un’epoca  in  cui  la  crisi  economica  ed  esistenziale  attanaglia  interi  continenti,
    comprese vaste parti dell’Occidente non più al riparo dalla miseria, provoca un’esplosione di consensi nei suoi
    confronti. In Italia l’87 per cento della popolazione è con lui, rivela un sondaggio Eurispes all’inizio del 2014.
    All’indomani dell’elezione un sondaggio Demopolis aveva registrato che il papa tra i cattolici arriva al 95 per
    cento. Suscitano approvazione la sua semplicità (72 per cento), la spontaneità del linguaggio (67), l’attenzione
    ai più deboli (65). Il 58 per cento è convinto che, grazie a lui, ci sarà un rinnovamento della Chiesa.
      La rivista americana «Time Magazine» lo ha eletto Personalità dell’anno 2013, un riconoscimento riservato
    soltanto a Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. «Ha cambiato non solo le parole, ha cambiato la musica...
    raramente un nuovo protagonista della scena mondiale ha catturato tanta attenzione, da vecchi e giovani, fedeli
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    e cinici, in così poco tempo», ha scritto Nancy Gibbs , parafrasando un giudizio in voga negli Stati Uniti ai
    tempi  di  Giovanni  Paolo  II.  Allora  si  diceva  che  ai  giovani  piaceva  il  «cantante»  Wojtyla,  ma  non  la  sua
    canzone, la dottrina propugnata. Per Francesco non è così. La musica è decisamente un’altra. Negli Stati Uniti
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    multireligiosi totalizza un consenso del 79 per cento tra i cattolici e un ampio 58 sul totale della popolazione .
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      Il 71 per cento dei russi, a grande maggioranza ortodossa o non credente, vuole vederlo arrivare in visita .
    Persino in Cina cinquanta esponenti dei mass media, delle associazioni giornalistiche e delle rappresentanze
    diplomatiche  più  importanti  del  paese  lo  hanno  indicato  come  terza  personalità  dell’anno  nel  China
    International Press Forum. Mai nella Cina comunista una personalità religiosa era entrata in lista.
      A Roma le udienze del mercoledì sono eventi dilatati. Possono durare oltre tre ore. Dalla sera prima gli
    accessi  alla  piazza  sono  transennati,  via  della  Conciliazione  i  mercoledì  è  chiusa  del  tutto.  Il  papa  gira  in
    macchina senza vetri antiproiettile, a volte “entra” in territorio italiano, uscendo dalla piazza. Grandi e piccoli
    gridano in continuazione «Francesco, Francesco» nella speranza di toccarlo. Gli danno sciarpe, gli offrono una
    bibita in lattina che lui assaggia, scambiano con lui lo zucchetto bianco. Il papa, all’udire un richiamo, si volta,
    si sporge dall’auto, fa “ciao” con la mano come se avesse intravisto un vecchio amico. Spesso scende dall’auto.
    Davanti a una signora in carrozzella, cui è caduta la borsa, si china per prenderla e rimettergliela delicatamente
    in grembo.
      Resta nella memoria dei telespettatori l’immagine dell’auto papale a Rio de Janeiro, bloccata e circondata
    all’uscita dall’aeroporto da una folla inarrestabile. Migliaia e migliaia di persone che travolgono la sicurezza,
    mentre i più determinati spingono le mani dentro al finestrino della monovolume in cui Francesco sta seduto
    sorridendo. Tre giorni dopo, il 25 luglio 2013, visitando la favela Varginha di Rio, Francesco abbandona l’auto
    e si mette a girare sotto la pioggia tra le strade infangate della baraccopoli. Prega nella cappella dedicata alla
    madonna e poi bussa al numero 81, entrando come un prete di quartiere nella casupola di Manoel José e
    Maria Luisa de Penha. Chiacchierano insieme, pregano insieme. Benedice e prende in collo tutti i bambini
    della  casa,  compreso  il  neonato.  «Avrei  voluto  bussare  ad  ogni  porta,  dire  “buongiorno”,  chiedere  un
    bicchiere  d’acqua  fresca,  prendere  un  caffè,  un  cafezinho...  non  una  cachaça  (l’acquavite  di  canna  da
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