Page 46 - Francesco tra i lupi
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    esistenziale con cui fare i conti .
      Francesco, appena eletto, rompe ancora una volta il protocollo e da subito manda un segnale di profondo
    rispetto per l’universo dei non credenti. Incontrando i giornalisti accreditati per il conclave, non termina
    l’udienza con l’abituale formula «e imparto di cuore a tutti voi la benedizione», ma soggiunge con delicatezza:
    «Vi avevo detto che vi avrei dato di cuore la mia benedizione. Dato che molti di voi non appartengono alla
    Chiesa cattolica, altri non sono credenti, imparto di cuore questa benedizione, in silenzio, a ciascuno di voi,
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    rispettando la coscienza di ciascuno, ma sapendo che ciascuno di voi è figlio di Dio» .
      Il papa argentino intende fare un passo più in là. Mettersi a tu per tu con chi non solo non crede, non cerca
    Dio e anzi lo ritiene un’invenzione consolatoria, ma soprattutto è sempre stato un critico esplicito dei dogmi
    e  di  ogni  forma  di  clericalismo  e  interventismo  politico  ecclesiastico.  Eugenio  Scalfari,  fondatore  della
    «Repubblica», è in Italia il papa laico, l’osservatore acuto delle debolezze e delle contraddizioni della gerarchia
    ecclesiastica, pur manifestando ammirazione per la personalità e il messaggio di Gesù Cristo.
      Nell’estate 2013 Scalfari in due articoli rivolge a papa Bergoglio una serie di domande. Spazia dal rigido
    monoteismo delle religioni abramitiche – ebraismo e islam – al dogma contraddittorio dell’incarnazione, dal
    conflitto  tra  predicazione  di  Cristo  e  pratiche  di  potere  della  Chiesa,  agli  interrogativi  ultimi  sull’aldilà  e
    l’estinzione della specie umana. È una vera e propria “disputa” quella che propone a Bergoglio, una disputa
    come nei secoli passati si poteva svolgere tra un cristiano e un ateo, tra un cattolico e un eretico. Un match
    intellettuale in cui si misureranno i punti di ciascun contendente.
      Scalfari non nasconde la simpatia per il nuovo pontefice, dice che è «buono come Giovanni XXIII, affascina
    come Wojtyla, è cresciuto tra i gesuiti, ha scelto di chiamarsi come Francesco perché vuole la Chiesa del
    poverello di Assisi». Ma non gli risparmia domande insidiose. La modernità, rimarca, ha messo in discussione
    il concetto di verità assoluta: il credente crede nella verità rivelata, il non credente pensa in termini di verità
    soggettive e relative, e allora il non credente è nel peccato? E ancora: «Se una persona non ha fede né la cerca,
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    ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano?» . Conclude il papa
    laico:  «Qual  è  la  risposta,  reverendissimo  papa  Francesco?».  Scalfari  aggiunge  una  postilla  provocatoria.  Il
    modello ecclesiale predicato dal pontefice argentino fa bene al mondo e il nuovo papa piace moltissimo a tutti,
    ma «credo anche che non ci sarà un Francesco II», perché la Chiesa cattolica è forte e ha attraversato i secoli
    proprio in quanto non ha mai rinunciato al potere.
      «Pregiatissimo Dottor Scalfari», replica su carta intestata il pontefice. Poi cancella d’un colpo l’immagine di
    un Dio doganiere, una divinità burocrate che esamina la pratica del non credente, soppesando se mettere o no
    il timbro dell’assoluzione. Francesco va oltre, non parla nemmeno di un perdono calato dall’alto. Racconta il
    Dio  di  Gesù,  la  cui  «misericordia  non  ha  limiti»,  e  insiste  su  un  principio,  ribadito  dal  concilio  e
    profondamente radicato nella morale laica: «Il peccato, anche per chi non ha fede, c’è quando si va contro la
    propria coscienza». Perché sulla decisione personale, che si prende di fronte al bene o al male, «si gioca la
    bontà o la malvagità del nostro agire».
      La lunga lettera a un non credente rivela la libertà interiore cui Francesco non vuole rinunciare. Sa bene – e
    infatti si verifica puntualmente nei corridoi vaticani – che il suo gesto sarà giudicato male da alcuni prelati, che
    vedono in ogni critica e polemica il segno dell’Anticristo e respingono l’idea di un pontefice che si metta a
    dialogare con Scalfari. Ma ciò che al papa strategicamente sta a cuore è di avvicinarsi senza distinzione agli
    uomini e alle donne del nostro tempo, specie a coloro che sentono la Chiesa astratta e lontana.
      Perciò, mentre risponde con amabile cortesia all’«egregio Dott. Scalfari», scavalca i termini di un duello
    oratorio tra l’Illuminista e il Gesuita, tra il Razionalista e il Credente. La contrapposizione non lo interessa. La
    sua lettera è la riedizione, con linguaggio moderno, della buona novella. Parla della necessità di «confrontarsi
    con Gesù nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda», annuncia un Cristo venuto a dare a chi lo ascolta
    «libertà e pienezza di vita». Parla di una fede, la quale non rende arroganti ma umili, «non è intransigente, ma
    cresce nella convivenza che rispetta l’altro» ed esclude la «ricerca di qualsivoglia egemonia». Questa fede, in cui
    è valorizzata l’obbedienza alla propria coscienza, va vissuta nella testimonianza e nel confronto con tutti. E la
    Chiesa è la comunità di fede «in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra
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    Scrittura... senza la Chiesa non avrei potuto incontrare Gesù» .
      Il  papa  si  riallaccia  direttamente  al  concilio  Vaticano  II,  proponendo  un  dialogo  senza  preconcetti.  Poi,
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