Page 51 - Francesco tra i lupi
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consacrate e davanti all’altare le distribuisce ai fedeli. La messa si conclude nell’identico modo dei riti officiati
da sacerdoti. Il Padrenostro, il segno della pace... «Sì – soggiunge Monika – celebro anche i battesimi. È un
sacramento, ma in caso d’emergenza qualsiasi cristiano può amministrarlo e quindi abbiamo l’autorizzazione
del vescovo. Celebro i funerali, mi incarico di liturgie nei pensionati per anziani, mi occupo dell’ora di
religione e della formazione degli adulti». La parroca tiene i cosiddetti colloqui pastorali, perché la confessione
non spetta a un laico. Ma a un fedele angosciato o preso da un dubbio non si può rispondere come in
ambulatorio di ripassare dopo qualche settimana, quando ci sarà il prete. «Diamo consigli, aiutiamo persone in
crisi. Do sempre l’indirizzo di un sacerdote, indicando anche la data per un appuntamento. A volte suggerisco
una terapia di coppia, perché le crisi coniugali sono un tema ricorrente. Però la gente ha bisogno di parlare e a
volte dice “è come se mi volessi confessare”. Allora rispondo: volete pregare? E insieme possiamo recitare il
kyrie eleison e io dico loro che sono accettati di fronte a Dio ed è bene avere deposto dinanzi al Signore quanto
avevano dentro. È quasi una confessione, il vescovo non la vede di buon occhio».
Ciò che angustia i fedeli sono le «tensioni nei rapporti di coppia, madri che si giudicano troppo irascibili, la
difficoltà di accettare la morte di un congiunto, la sensazione di non essere adeguati, la paura di non farcela».
Mi viene in mente l’ospedale da campo, di cui parla papa Francesco quando descrive il primo compito della
Chiesa. Aiutare senza chiedere esami del sangue o carte d’identità. Il senso classico del peccato, aggiunge
Monika Schmid, è difficile incontrarlo nei fedeli di oggi.
La parrocchia è sostanzialmente gestita da donne. Oltre alla curatrice, ci sono un’assistente pastorale e una
pedagoga religiosa. E sono già tre. Poi sono presenti un’impiegata amministrativa e un’animatrice sociale per i
progetti estivi. L’unico maschio investito di responsabilità è un curatore pastorale laico. E poi c’è il maestro del
coro, l’oriundo sardo Stefano Lai. La gente è contenta. Questioni che altrove nella Chiesa sono ancora
considerate problemi spinosi – come il rapporto con le coppie dello stesso sesso – in Svizzera in molte
parrocchie sono già silenziosamente risolte. Monika Schmid evita l’argomento, ma è noto che in parecchie
località i preti e i laici incaricati della guida di una parrocchia benedicono discretamente, dinanzi all’altare,
coppie omosessuali.
Roma è lontana e lontana appare la lentezza con cui la Chiesa ha affrontato nell’ultimo mezzo secolo la
questione femminile. La costituzione pastorale Gaudium et spes del concilio Vaticano II fu, nel 1965, il primo
segnale di una presa di coscienza. I padri conciliari considerarono come segno dei tempi la libera scelta della
donna nel decidere il suo stato di vita e l’accesso ad una «educazione e cultura pari a quelle che si ammettono
per l’uomo». Le donne, sottolineò il documento, «rivendicano, là dove ancora non l’hanno raggiunta, la parità
con gli uomini, non solo di diritto ma anche di fatto».
Paolo VI ammise per la prima volta ai dibattiti conciliari ventitré donne “uditrici”, tredici laiche e dieci
religiose. Da allora si è assistito ad un graduale espandersi della presenza femminile in ruoli di animazione
catechistica ed educativa nelle parrocchie e – all’estero – anche nella direzione di commissioni a livello
diocesano. Ma nelle istanze superiori, là dove si decide e si comanda, la Chiesa resta maschile. L’accesso agli
ordini sacri, diaconato e sacerdozio, rimane sistematicamente precluso ai fedeli di sesso femminile.
Giovanni Paolo II era un appassionato fautore del «genio femminile». Riteneva tipico della donna il carisma
dell’affidamento. Il fatto che Dio le «affida l’uomo... persino nelle condizioni di discriminazione sociale in cui
essa può trovarsi». Nella lettera apostolica Mulieris dignitatem del 1988, papa Wojtyla pone in risalto la parte
attiva e importante che le donne ebbero nella costruzione delle prime comunità cristiane e poi, attraverso i
secoli, nella trasmissione della fede attraverso le martiri, le sante, le vergini, le madri di famiglia. Sostenne che
il genio femminile si dovesse esplicare nell’epoca contemporanea nel garantire la «sensibilità per l’uomo in
ogni circostanza: per il fatto che è uomo!».
Nel documento Ordinatio sacerdotalis del 1994 il papa polacco ribadiva, però, in maniera solenne: «Al fine di
togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della
Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la
facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale». Wojtyla era tentato di dare al suo veto il sigillo
dell’infallibilità papale. Ne fu dissuaso dal cardinale Ratzinger, che suggerì una formula appena attenuata:
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«Dichiaro che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» .
Dieci anni dopo il cardinale Ratzinger, in una Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna