Page 42 - Francesco tra i lupi
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    zucchero)», esclamerà poi dal palchetto nel campo di calcio del quartiere. E la gente sa che è vero .
      Francesco soffre di non potersi muovere liberamente. Wojtyla aveva bisogno della natura, Bergoglio ha sete
    del contatto umano. «Quante volte ho avuto voglia di andare per le strade di Roma, perché a me piaceva tanto,
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    a Buenos Aires, andare per la strada...», ha confessato ai giornalisti . Il bisogno di non vivere ingabbiato è
    prepotente. Si manifesta nella messa del mattino, che non celebra da solo, ma nella cappella della residenza
    Santa Marta di fronte a gruppi di fedeli. Attraverso le omelie del mattino dialoga quasi quotidianamente con il
    mondo, molti messaggi importanti nascono lì.
      La voglia di comunicare la sfoga scrivendo e telefonando. Alza la cornetta, chiede al centralino vaticano un
    numero  e  si  presenta  personalmente  all’interlocutore.  Chiama  l’edicolante  di  Buenos  Aires  per  disdire
    l’abbonamento, il suo calzolaio abituale con cui scherza sulle scarpe rosse che non porta, chiama la commessa
    di una libreria o un gruppo di carcerati con cui è stabilmente in contatto. Le prime volte un centralinista gli ha
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    risposto: «Se tu sei il papa, io sono Napoleone» .
      Francesco ha bisogno di sentire intorno a sé voci non protocollari, voci di esistenze quotidiane. Risponde ai
    tanti messaggi che gli arrivano. Telefona ai parenti di Andrea Ferri, un benzinaio di Pesaro ucciso per rapina,
    chiama una ragazza incinta e abbandonata, un bambino che gli ha mandato un disegno, una donna stuprata,
    un parroco, una coppia con due bambini malati, un ex drogato argentino («Ciao Corvo, come stai?»), la madre
    di Elisa Claps, la studentessa adolescente di Potenza sparita per sedici anni e ritrovata morta nel 2010 nel
    sottotetto di una chiesa. È il suo modo di sentirsi parroco e continuare ad essere prete callejero, prete di strada.
    «Grazie, Santità – gli ha detto la madre di Elisa, amareggiata per i troppi silenzi del prete Mimì Sabia, titolare
    della  chiesa  della  Trinità  dove  è  stato  rinvenuto  il  cadavere  –  perché  ci  sta  restituendo  la  Chiesa  in  cui
    credevamo».
      In Vaticano e tra le gerarchie ecclesiastiche del mondo la soddisfazione per la popolarità del papa, che si
    riverbera sulla Chiesa, è enorme. Dietro le quinte affiorano, però, malumori per come Francesco smonta
    ogni giorno l’icona del papato e l’immagine di un sovrano intoccabile della cattolicità. Francesco ha un modo
    di fare troppo da «popolano», è l’accusa. La stessa che oltre cinquant’anni fa veniva rivolta a Giovanni XXIII, di
    cui si irrideva la bonarietà campagnola a paragone della solennità ieratica di Pio XII.
      Molto presto, su alcuni giornali, sono iniziate le critiche da parte di firme nutrite del malumore dei settori
    curiali più conservatori. Giuliano Ferrara sul «Foglio» lo ha accusato di «troppa tenerezza», di sorvolare sulle
    stragi degli aborti, di non capire che la globalizzazione e la libertà dei mercati garantiscono «emancipazione e
    liberazione»  alle  masse  del  Terzo  mondo.  Marcello  Veneziani  ha  accennato  al  rischio  che  diventi  una
    «macchietta», il sociologo Gianfranco Morra ha stigmatizzato la sua assenza al concerto in Vaticano, definendo
    la sua comunicazione intrisa di «archetipi populistici».
      Lo  scrittore  cattolico  Vittorio  Messori,  intervistatore  di  Ratzinger  e  Wojtyla,  ha  ironizzato  sugli  appelli
    papali alla povertà. «La Chiesa povera è una cavolata: Gesù non era un morto di fame... aveva una disponibilità
    economica, persino un tesoriere che poi l’ha tradito, Giuda Iscariota». Anzi, la tunica di Gesù era di valore, «le
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    guardie se la giocarono a dadi perché costava... Gesù vestiva Armani» . In televisione Messori, nei primi
    mesi,  distilla  un  sottilissimo  veleno.  «Meno  parla  il  papa,  meglio  è.  Certe  interviste  in  aereo,  certe
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    improvvisazioni possono far nascere interpretazioni sbagliate». È bene tornare alla «sobrietà» .
      Ha dato molto fastidio ai conservatori la decisione di Francesco di non celebrare il suo primo giovedì santo
    nella basilica di San Giovanni in Laterano e di praticare il rito della lavanda dei piedi nel carcere minorile di
    Casal di Marmo. Uno strappo alla tradizione consolidata. Ma ancor più irritazione ha suscitato il gesto di
    lavarli a due donne, di cui una per di più musulmana. Come può una donna seguace dell’islam impersonare
    uno dei dodici apostoli all’Ultima Cena, hanno commentato nel palazzo apostolico i prelati tradizionalisti? «A
    Buenos Aires il cardinale Bergoglio ammise al rito anche delle ragazze. E noi abbiamo proposto una presenza
    femminile. In Vaticano, dopo qualche resistenza, hanno accettato», ha spiegato il cappellano del carcere, padre
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    Gaetano Greco . Segno del legame istintivo tra il pontefice e il clero più a contatto con la vita quotidiana.
      Ai dodici minori – cattolici, ortodossi e musulmani – Francesco ha detto con semplicità: «Adesso faremo
    questa cerimonia di lavarci i piedi e ciascuno di noi pensi: io davvero sono disposto a servire e aiutare l’altro?
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    Pensi  quello  soltanto  e  questo  segno  è  una  carezza  di  Gesù» .  Francesco  parla  di  Gesù,  ma  è  pronto  ad
    incoraggiare i seguaci delle altre religioni a vivere bene la propria fede. A Lampedusa – dove è arrivato dopo la
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