Page 40 - Francesco tra i lupi
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interessavano di Chiesa e pontefici.
Lo stato d’animo delle masse è racchiuso in una frase, che si sente frequentemente pronunciare nelle
situazioni più disparate: «Non sono ateo, ma nemmeno praticante. Mi ero distaccato dalla Chiesa, Francesco
mi ha fatto riavvicinare». Marco Tarquinio, direttore del giornale dei vescovi «Avvenire», testimonia: «Ha
scritto un lettore che non pregava più da tempo. Ora prega ogni giorno per Francesco. Il papa scalda il cuore ai
credenti, raggiunge i tiepidi, cattura i lontani». Ad avvicinare ulteriormente papa e opinione pubblica
contribuisce la schiettezza sulle proprie mancanze: «Anche il papa si confessa ogni quindici giorni, perché
anche il papa è un peccatore! Il confessore sente le cose che io gli dico, mi consiglia e mi perdona, perché tutti
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abbiamo bisogno di questo perdono» . Altri pontefici si sono definiti peccatori, ma l’espressione aveva il
sapore di retorica sacra. In bocca a Francesco è un’ammissione autentica, che abolisce ogni piedistallo.
Cattura la sua franchezza nell’indicare il marcio nella Chiesa, senza nasconderlo dietro perifrasi. Non gli
piace il clero che non è all’altezza della propria missione e si perde nella caccia ai beni materiali. «A me fa male
quando vedo una suora o un prete con la macchina ultimo modello, ma non si può... – esclama rivolto ad un
gruppo di novizi e seminaristi, ricevuti in udienza – La macchina è necessaria per fare tanto lavoro, spostarsi
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di qua e di là... ma prendetene una umile. Se ne volete una bella, pensate ai bambini che muoiono di fame» .
A tratti diventa sferzante: «Giustamente a voi fa schifo quando vedete un prete o una suora che non sono
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coerenti» .
Sobrietà non vuol dire per Francesco andare in giro con volti lugubri da quaresima, facce da «peperoncino»,
le chiama. Non c’è santità nella tristezza, ribadisce. Se un seminarista o una novizia inalbera uno sguardo
triste, qualcosa non va. Ad Assisi spiega alle clarisse in clausura che la contemplazione deve portare alla gioia,
all’umanità, al sorriso. Ma non il sorriso delle hostess! Il sorriso che nasce da dentro. Poi stuzzica le religiose:
guai a chi si presenta con un modo di fare esageratamente spirituale, per quello vale ciò che diceva santa
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Teresa: «Datele una bistecca...» .
Un uomo si capisce anche dai suoi film preferiti. Quello più amato da Francesco è Il pranzo di Babette, la
storia di una donna francese capitata in uno sperduto villaggio danese, bigotto e gretto. Finché un giorno le
annunciano da Parigi una vincita alla lotteria. Diecimila franchi. Li investe tutti per offrire alla comunità un
pranzo francese. Un tripudio del palato – consommé di tartaruga, quaglie, vol-au-vent, caviale, vini,
champagne, dolci, frutta esotica – che scioglie lentamente gli animi dei presenti. Un pugno di uomini e
donne oppressi dal senso del peccato, impauriti dal giudizio finale, intristiti da rancori, terrorizzati persino
dall’idea del piacere.
Gradualmente i volti si trasfigurano attraverso il gusto e il profumo del cibo, lo spirito dei commensali torna a
respirare. Liberati, approdano a una visione del vivere mai immaginata prima. «Misericordia e verità si sono
incontrate, rettitudine e felicità si sono baciate», conclude uno degli ospiti brindando. «Perché Dio –
soggiunge – non pone condizioni. Bisogna attendere con fiducia e accogliere con riconoscenza». Bergoglio
crede nella gioia del dare e in una fede come vita felice nel segno del Vangelo e non torturata dalla visione di
un Dio poliziotto.
Durante un’udienza una madre di famiglia spagnola gli sussurra: «Grazie per essere un altro Gesù in terra».
Francesco diventa rosso per tre secondi, poi scoppia a ridere: «Ma io sono un diavolo!». L’umanità di
Bergoglio è intessuta di tutte le esperienze del passato. Insieme a Giovanni Paolo II è l’unico pontefice che
abbia lavorato. A tredici anni si è guadagnato da vivere in una fabbrica di calze, poi è passato ad un laboratorio
chimico. «Ho fatto il buttafuori» in discoteca, ha confessato a sorpresa ai parrocchiani di San Cirillo
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Alessandrino nella periferia di Roma .
Bergoglio ha avuto una vera fidanzata a diciassette anni e ha ballato la milonga e il tango. Non quello esangue,
mitteleuropeo, che anche Wojtyla aveva imparato assieme al valzer, come era costume tra i giovani di buona
famiglia negli anni tra le due guerre mondiali. Ma il tango argentino, pieno di sensualità. «Un pensiero triste
che si balla», secondo Ernesto Sabato. «Mani di uomo intorno ai fianchi di una donna, mani di donna intorno
alle spalle di un uomo, gambe prepotenti, braccia a guidare il passo, braccia a sorreggere, fianchi muoversi e
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irrigidirsi... l’invito e il congedo, la solitudine e il suo rimedio» .
Per lui è essenziale che la scelta di vita religiosa sia radicata in una totale autenticità personale. «Che posso fare
per mio nipote che vuole farsi francescano?», gli chiede una donna nella parrocchia di San Cirillo. Pregare