Page 35 - Francesco tra i lupi
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degli otto cardinali la guida è affidata al riformatore Maradiaga, ma c’è posto anche per il conservatore Pell di
Sydney, per il ratzingeriano Marx di Monaco di Baviera, per il curiale Bertello considerato fino al conclave
uomo di Bertone. Segretario della commissione di riforma finanziaria-amministrativa è un membro
dell’Opus Dei, mons. Lucio Angel Vallejo Balda, che viene dalla prefettura degli Affari economici. Un
legionario di Cristo, Fernando Vérgez Alzaga – non compromesso con i crimini del fondatore Marcial
Maciel –, diventa segretario generale del governatorato dello Stato della Città del Vaticano. L’americano Wells
(tenuto conto delle forti pressioni dell’episcopato statunitense per un’operazione di pulizia in Vaticano) è
addirittura presente in due organismi: il comitato anti-riciclaggio e la commissione di riforma dello Ior.
L’arco delle presenze riflette la varietà di tendenze esistenti nella Chiesa. È un preciso disegno di Bergoglio.
Per smontare la Chiesa imperiale il papa intende utilizzare alleati e collaboratori provenienti da ogni settore
ecclesiale. Tanto più che la riforma della curia, cavallo di battaglia dello schieramento che lo ha eletto, non
deve limitarsi nella prospettiva di Francesco ad una mera revisione di funzioni nel segno dell’efficienza.
Fino al pontificato di Ratzinger la curia è stata sempre presentata come struttura al servizio del governo
papale. Francesco cambia i termini. Proclama l’intenzione di trasformarla in strumento al servizio del papa e
dei vescovi congiuntamente. Bergoglio è perfettamente consapevole di avviare un processo sconvolgente,
perché la curia che opera in nome del sommo pontefice è stata idolatrata per secoli come un potere che
governava le comunità cattoliche di tutto il mondo.
Francesco difende e loda l’impegno personale dei tanti che lavorano in curia. Ma ne ha chiari i limiti. Il suo
difetto, ha detto nel colloquio con Eugenio Scalfari, è di essere «vaticano-centrica... vede e cura interessi del
Vaticano che sono ancora, in gran parte, interessi temporali». Il consiglio degli otto cardinali, spiega, «è l’inizio
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di una Chiesa con un’organizzazione non soltanto verticistica ma anche orizzontale» . Parole forti perché
esplicite. Il colloquio tra Francesco e Scalfari, pubblicato il 1º ottobre su «la Repubblica», il giorno stesso viene
riprodotto integralmente dall’«Osservatore Romano» e inserito sul sito ufficiale vatican.va. Tuttavia suscita
parecchi malumori all’interno del palazzo apostolico, e il 15 novembre 2013 viene rimosso dal sito. Il
portavoce Lombardi fa sapere che non è stato rivisto parola per parola e perciò va considerato «attendibile nel
suo senso generale ma non nelle singole formulazioni». Non farà parte dei testi ufficiali del pontificato.
La strana resipiscenza, avvenuta con un mese e mezzo di ritardo, è un campanello d’allarme, sintomo dei
conflitti sotterranei sorti intorno alla rivoluzione di Bergoglio. Il novantenne fondatore della «Repubblica»,
che ha scritto a memoria dopo l’incontro (come d’altronde fece il giornalista del «Corriere della Sera» Alberto
Cavallari dopo la prima intervista a Paolo VI), riferisce una frase che riflette bene il pensiero di papa
Francesco: «La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio e i presbiteri, i parroci, i
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vescovi... sono al servizio del popolo di Dio» .
La portata della rivoluzione che Francesco ha in mente emerge con chiarezza in un’intervista del papa con il
direttore della rivista dei gesuiti «La Civiltà Cattolica», sulla cui esattezza non c’è contestazione. Per certi versi
il giudizio e le intenzioni appaiono ancora più radicali. Francesco evita persino di usare la parola «curia» per
non esaltarne il ruolo. Il papa scandisce: «I dicasteri romani sono al servizio del papa e dei vescovi: devono
aiutare sia le Chiese particolari sia le conferenze episcopali». Sono «meccanismi di aiuto», insiste, e se non
sono bene intesi «corrono il rischio di diventare organismi di censura». Per essere ancora più chiaro Francesco
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specifica: «I dicasteri romani sono mediatori, non intermediari o gestori» . Dal concilio di Trento in poi
nessun pontefice ha così radicalmente messo in gioco il ruolo di potere della curia romana.
Non è un’operazione che si possa portare a termine in pochi mesi. Il cardinale Maradiaga, coordinatore del
consiglio cardinalizio, ha già anticipato che riscrivere lo statuto della curia «prenderà tempo» e richiederà
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molte consultazioni, a partire da coloro che lavorano negli uffici curiali . Nessuna perestrojka – lo dimostra la
vicenda di Mikhail Gorbaciov – si può fare contro la struttura portante dell’organizzazione in cui si è cresciuti.
Nel duomo di Salerno, in una teca di vetro, si vedono le spoglie di papa Gregorio VII, morto quasi mille
anni fa. È avvolto in un mantello di porpora e oro. Color porpora sono anche le sue pantofole. Sotto il suo
pontificato fu compilato il Dictatus Papae, proclama dell’assolutismo papale. «Solo il pontefice romano – si
legge – è detto a giusto titolo universale... Egli solo può servirsi delle insegne imperiali... Il suo nome è unico
al mondo... le sue sentenze non debbono essere modificate da nessuno, ed egli solo può modificare le
sentenze di chiunque». C’è un filo diretto tra questa presunzione totalitaria e l’enciclica Pastor Aeternus, con