Page 13 - Francesco tra i lupi
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pensato a Francesco d’Assisi... ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva fino a tutti i voti.
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Francesco è l’uomo della pace. E così è venuto il nome nel mio cuore: Francesco d’Assisi» .
In cuore il neo-eletto porta anche una parola: misericordia. Il primo giorno del conclave il cardinale tedesco
Walter Kasper, autore di un volumetto intitolato Misericordia, glielo ha regalato nella traduzione spagnola.
«Questo è il nome del nostro Dio. Senza misericordia siamo perduti!», ha esclamato Bergoglio.
In conclave Francesco inizia a fare i primi strappi alle regole tradizionali. Andando a cambiarsi, respinge il
camicione di lino candido (rocchetto), la mozzetta rossa e la stola. Rifiuta la croce d’oro per tenersi la sua di
ferro. Esige di indossare unicamente la tonaca bianca di papa, che Giovanni Paolo II ha trasformato in simbolo
portandola in giro per il mondo.
Rivestito dei paramenti pontificali, riceve in piedi e non seduto sul trono l’omaggio di obbedienza dei
cardinali. Rifiuta le genuflessioni. «Ha voluto l’abbraccio», rimarca espressamente un porporato presente. Ma
per prima cosa, vista in un angolo della Sistina la sedia a rotelle del cardinale indiano Ivan Dias, si reca da lui
per abbracciarlo.
«Che Dio vi perdoni», si sfoga Bergoglio con i cardinali che lo hanno eletto. L’espressione sembra essere un
classico, l’aveva già pronunciata Albino Luciani al momento di diventare Giovanni Paolo I.
Prima di affacciarsi alla loggia della basilica Francesco è preso d’improvviso da un grande turbamento. Quasi
una vertigine. Le ultime ore le ha passate in uno stato d’animo altalenante. Lasciando la Sistina, passa attraverso
le file dei cardinali, «non guardando né a destra né a sinistra... aveva gli occhi bassi, uno sguardo grave, non
sorrideva, non diceva nulla, come se portasse un peso enorme», testimonia mons. Dario Viganò, responsabile
del Centro televisivo vaticano. Esce, fa pochi passi ed entra nella cappella Paolina, dove era stato predisposto
per lui una specie di tronetto con inginocchiatoio. Bergoglio si ferma invece all’ultimo banco, afferra per il
braccio i cardinali Jean-Louis Tauran e il vicario di Roma Agostino Vallini e li tira accanto a sé. In ginocchio
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si mette a pregare «come se stesse regolando i conti con se stesso di fronte a Dio» .
È una preghiera lunga. «La mia testa era completamente vuota e una grande ansia mi aveva invaso... –
confesserà Bergoglio ad Eugenio Scalfari – chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero. Chiusi gli occhi e non
ebbi più alcuna ansia o emotività. Ad un certo punto una grande luce mi invase, durò un attimo ma a me
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sembrò lunghissimo» . Dopo la preghiera, conferma Viganò, «si alzò e da quel momento fu un altro».
Nel conclave del 2005 – commenta un porporato veterano – Bergoglio era a disagio per la contrapposizione
verso Ratzinger, che stimava. Si sentiva impreparato. «Ora era pronto», precisa un suo collaboratore a Buenos
Aires, che lo aveva osservato al ritorno da quel conclave. «Nel 2005 si sentì chiamato da Dio, ma aveva paura.
Adesso era come quando nella Bibbia il Signore chiama i profeti per la seconda volta...».
Fuori, in piazza San Pietro, la gente non resiste più. Mentre si prolunga l’attesa, Bergoglio telefona al suo
predecessore, ma non riesce a parlargli perché nessuno sente il telefono: Benedetto XVI sta guardando la
televisione. Finalmente si spalancano le vetrate della loggia e appare il cardinale diacono Jean-Louis Tauran.
«Habemus Papam», annuncia con il suo accento francese: «Georgium Marium Sanctae Romane Ecclesiae
cardinalem Bergoglio...». La folla applaude di gioia, però l’ovazione è temperata dall’incertezza sul personaggio.
Bergoglio chi è?
Ma basta che Tauran proclami il nome «Francesco» e dalla piazza si leva un boato. Francesco lo conoscono
tutti, Francesco è il Poverello, un nome caldo per credenti e non credenti. Mentre si richiudono le vetrate
della loggia, si diffondono in basso i cori ritmati «Francesco... Francesco... Francesco».
Il primo papa del Nuovo Mondo è un gesuita argentino di origini piemontesi. Ha scelto un nome mai usato
dai romani pontefici, un nome che è il contrario del potere. Cancella subito l’appellativo di Francesco I, che
sono pronti a dargli in curia. Lui non vuole numeri accanto al suo nome come i re e gli imperatori.
Sono passate le otto di sera quando papa Francesco appare alla loggia della basilica. Bianco ed essenziale. Il
volto serio e curioso, incorniciato dagli occhiali, lo sguardo rivolto in basso verso l’immenso catino umano
che ribolle. La mano destra appena alzata. Con poche parole rovescia lo stile di millenni. «Buona sera», saluta.
Stendendo la sinistra di scatto quasi a toccare la folla. Prega. Ringrazia. Chiede di pregare per lui. Umano
come Michel Piccoli nel film Habemus Papam, tranquillo come un parroco di quartiere, contemporaneo tra
contemporanei. I cardinali, che lo hanno eletto andando a prenderlo «quasi alla fine del mondo», li chiama
fratelli. Non più «signori» cardinali o «eminentissimi» come dicevano Ratzinger e Wojtyla. Lui stesso non si