Page 10 - Francesco tra i lupi
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II. La paura di Francesco
Piove sul palazzo apostolico. Piazza San Pietro è costellata di ombrelli. Il pomeriggio del 13 marzo 2013 è
impregnato di umido. Tutti guardano verso la cappella Sistina, dove i 115 cardinali elettori stanno cercando il
successore di Benedetto XVI.
Sul comignolo, da cui si leverà il fumo, si è installato un gabbiano. Sta lì da ore. I gabbiani evocano i mari
aperti, l’oceano. Più prosaicamente sono calati da anni sulla città eterna, seguendo il Tevere alla ricerca di
cibo. La mattina presto si sentono stridere come se Roma fosse un porto.
Il conclave si prospetta lungo. Alla vigilia il cardinale di Parigi André Vingt-Trois ha parlato di una «mezza
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dozzina di cardinali» ancora in lizza . In testa pare l’arcivescovo di Milano Angelo Scola, ma non si esclude un
papa brasiliano o canadese o ungherese.
La folla in piazza attende paziente e tesa. Il pomeriggio del giorno precedente, martedì 12 marzo, la
processione solenne dei cardinali vestiti di porpora ha fatto il suo ingresso nella cappella Sistina. Hanno giurato
di osservare il segreto e non «prestare mai appoggio o favore a qualsiasi interferenza, opposizione o altra
qualsiasi forma di intervento» di autorità secolari, gruppi o individui. «Prometto, mi obbligo e giuro. Così Dio
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mi aiuti e questi Santi Evangeli che tocco con la mia mano» , ha scandito ciascuno dei porporati, e alle 17,39 il
maestro delle cerimonie papali Guido Marini ha intimato l’«extra omnes», fuori tutti, mentre veniva serrata la
grande porta d’accesso alla cappella.
Non ci sono finestre ad altezza d’uomo, soltanto molto in alto, sotto il soffitto. Le hanno oscurate. Nel
grande spazio, dominato dal Giudizio Universale di Michelangelo, i cardinali stanno seduti in due file dinanzi
a lunghi banchi coperti di velluto rosso. C’è ancora odore di legno fresco. Le sedie, eleganti, hanno
l’imbottitura color champagne.
Nessun santuario del potere regge il confronto. Neanche il Cremlino o la Città Proibita a Pechino. Nessun
imperatore di un miliardo di sudditi viene eletto con riti sobri eppure misteriosi in un’aula così perfetta,
ricoperta di affreschi impressionanti. «L’impatto con il Cristo del Giudizio Universale – ricorda il cardinale
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Angelo Bagnasco – provoca un brivido. Quando si chiude la porta, siamo soli: noi e Lui» .
Al momento della votazione ogni cardinale scrive in segreto il nome prescelto sulla scheda, la piega per non
farla vedere e lentamente si incammina verso il fondo della cappella. Passa accanto al leggio dove troneggia il
Vangelo e giunge al tavolo della presidenza, dove stanno le tre urne del conclave. Una per le schede depositate,
una per le schede scrutinate e la terza, munita di una piccola chiave, da portare eventualmente ai porporati
tanto infermi da non avere la forza di lasciare il letto.
Dietro al tavolo della presidenza, si erge l’antico altare di marmo. Rivolto, alla vecchia maniera, verso la
parete dove spicca l’affresco del Giudizio. Lì Benedetto XVI celebrò la sua messa in latino secondo l’antico
rito preconciliare e dal dito gli scivolò l’anello del potere papale, rotolando sul pavimento. Un presagio.
Nel vestibolo, che si arresta dinanzi ad una grata di marmo e ferro battuto, sono collocate due stufe. Una
tonda per bruciare le schede elettorali, una quadrata per i candelotti fumogeni, che garantiscono un fumo
bianchissimo o nerissimo.
I gradini, che separano il vestibolo dall’area dove stanno seduti i cardinali, sono coperti da una pedana
inclinata. Ufficialmente per favorire i porporati più vecchi, in realtà per nascondere le apparecchiature
destinate a smascherare telefonini o altri mezzi elettronici, che potrebbero comunicare con l’esterno. È dai
tempi di Paolo VI che si ricorre alle ultime tecnologie per proteggere la segretezza assoluta del conclave. Un
sistema di onde elettromagnetiche neutralizza la cappella e tutto lo spazio adiacente.
Il gabbiano sta sempre lì. Come se la giornata non fosse adatta per assistere alla fumata bianca. La sera prima,
martedì, la fumata alle 19,41 dopo il primo scrutinio è stata nera. Nessuno si aspettava diversamente. Il primo