Page 7 - Francesco tra i lupi
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calma apparente delle donne sedute davanti alle porte, gli uomini stravaccati sulle sedie a bere e chiacchierare,
i bambini che sotto Natale – quando a Buenos Aires è estate – sguazzano allegri in piccole vasche di plastica.
Jorge lo sa bene, ma non si ritrae, non ha paura.
A Villa Ramón Carrillo, a pochi passi dalla parrocchia, l’androne annerito di una casa è il segno di una
spedizione punitiva della famiglia di un ragazzo ucciso da una pallottola vagante in uno scontro tra bande.
Altrove succede di peggio. Una famiglia borghese di Buenos Aires, adottando una bambina delle borgate, ha
scoperto attraverso i suoi disegni e l’assistenza di una psicologa che la piccola era stata testimone di un aborto e
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del feto buttato in pasto ai cani .
Il parroco Pedro Baya ha inciso nella memoria un giorno in cui stava battezzando. Proprio mentre
somministrava il sacramento accanto all’altare, improvvisamente si ferma ansante sulla porta della chiesa-
capannone un ladruncolo inseguito. Il derubato lo aveva afferrato e lo tempestava di colpi in testa con il calcio
della pistola. «Il ragazzo era in ginocchio e urlava e l’inseguitore a un certo punto ha impugnato la pistola a due
mani, gridando “Ti ammazzo, ti ammazzo”. Ho lasciato il neonato e sono corso terrorizzato a fermarlo». Il
ragazzo, con la testa tutta sanguinante, è stato salvato in extremis e portato all’ospedale. Sulla soglia della chiesa
era rimasta una grande pozza di sangue. «Sangue infetto di Aids – ricorda il parroco –, ci siamo messi i guanti
e abbiamo cominciato a ripulire».
Da quella porta in ferro battuto, verniciata di verde, Jorge è passato più volte. Il parroco non ha avuto il
coraggio di raccontargli la storia. Ma l’arcivescovo ne ha sentite tante, in luoghi che conosce perfettamente.
Non è un mondo che apprende dai telegiornali, ne conosce l’odore, le facce, è parte della sua vita.
La droga, oltre la violenza, è radicata nelle borgate. I boss della mala vivono altrove, in ottimi ambienti. Ma i
peones del narcotraffico stanno qui. È il regno del “paco”, la droga a prezzi stracciati – cinque pesos o poco
più – ottenuta da un derivato della cocaina e che «spacca il cervello», dicono a Buenos Aires. Rende
dipendenti in tempi molto rapidi e viene offerta ai giovanissimi. Ragazzi di tredici, quattordici anni, qualche
volta anche meno. Gli stessi che a un funerale abbracciano affettuosamente il parroco, che sotto le loro giacche
avverte il bozzo duro della pistola. Sono adolescenti che per farsi la dose cominciano a rubare in casa e poi
nevrotizzati aggrediscono passanti ovunque capiti.
La droga è un problema capitale, perché favorisce la diffusione di armi in mano ai minorenni. Nel 2009 i
“curas villeros”, i preti delle borgate, sono intervenuti provocatoriamente nel dibattito nazionale sull’eventuale
depenalizzazione delle droghe, con un duro documento di denuncia. Hanno scritto che «nelle borgate esiste
una liberalizzazione e una depenalizzazione di fatto». Il problema non sono le bidonville, è detto nel testo, ma
il narcotraffico che le utilizza e ci si arricchisce. Il documento ebbe un grande impatto sull’opinione pubblica.
La reazione dei signori della droga fu immediata. «Sparisci o sei un uomo morto», ringhia a padre Pepe Di
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Paola un malvivente a volto coperto, che una notte d’aprile lo blocca in un vicolo di Villa-21 .
L’arcivescovo non esita a fare sua la denuncia e a rilanciarla. Due giorni dopo, durante una messa celebrata
sul sagrato della cattedrale, attacca pubblicamente i «potenti mercanti delle tenebre», raccontando delle
minacce al suo prete. Pepe, da cui è partita l’iniziativa del documento, si sente coperto insieme agli altri preti
di borgata: «Preferisco che a morire sia io piuttosto che uccidano te», gli dice l’arcivescovo. I narcotrafficanti
rinunciano all’assassinio, anche se in seguito Pepe sarà costretto a lasciare Villa-21.
Jorge, scendendo nei cunicoli della metro o arrampicandosi sul bus con la sua cartella nera in mano, porta
con sé la memoria di tutto. Non è incosciente, non è fatalista. È solo convinto che se vuole esercitare la sua
funzione di «pastore che segue il suo gregge», non può scegliere i palazzi, le macchine, gli autisti e le scorte. È
cosciente che i narcotrafficanti non arretrano di fronte a niente, nemmeno dinanzi a principi della Chiesa.
Nel 1993 il cardinale messicano Juan Posadas Ocampo è stato assassinato all’aeroporto di Guadalajara in una
strage, che ha visto protagonisti i killer spietati del “Cartello di Tijuana”. L’inchiesta ufficiale etichetta
l’accaduto come tragica fatalità, come se il porporato si fosse trovato in mezzo ad una sparatoria fra bande rivali.
In seguito emerge che Ocampo era stato ammonito da elementi governativi a tenere la bocca chiusa su
informazioni relative alla collusione tra narcotrafficanti e politici locali.
Anche l’arcivescovo Bergoglio ha ricevuto avvertimenti. Alcuni sindacalisti gli hanno fatto sapere nel corso
del 2012 di stare attento, perché c’erano gruppi che gli volevano male e forse era meglio non camminare senza
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scorta per la città. «Non lascerò mai la strada», è stata la sua risposta . Identica reazione, quando i suoi preti di