Page 8 - Francesco tra i lupi
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borgata lo hanno messo in guardia dal rischio di essere rapinato.
Jorge ha sperimentato le due facce della periferia. Violenza sfrenata e grande umanità. Ha visto che negli
agglomerati abusivi si ammassa una gente semplice, affamata di speranza, animata da solidarietà, pervasa da
un’intensa devozione popolare, felice nel momento della festa. Fare una mensa in una borgata, ha sempre
sostenuto padre Pepe, è molto più facile che in un quartiere benestante. «Le donne cucinano, gli uomini
portano la roba, i ragazzi fanno assistenza volontaria». Tra le case sbrecciate, eternamente finite a metà, dove lo
Stato è un’astrazione e l’anagrafe si è sempre rivolta ai preti per sapere il domicilio delle persone, le parrocchie
sono centri di assistenza e di promozione alla cittadinanza.
A Villa-21 nel primo pomeriggio la gente viene per ritirare un po’ di cibo: pane, companatico e qualche
frutto, già preparati in sacchetti. Toto De Vedia, il parroco succeduto a Pepe, riceve tutti in una minuscola
stanzetta tappezzata di foto, ricordi, annunci scritti a mano. Due telefonini, una perenne coppetta di mate, la
bevanda nazionale profumata e amara, un’agenda fitta di appunti. È una processione interminabile. La madre
che viene per la merenda scolastica del figlio, la madre allarmata perché il figlio si è dato alla droga e alla strada,
la madre che cerca un lavoro per la figlia, il ragazzo da sistemare con un’occupazione, la festa da organizzare nel
centro anziani, le visite a famiglie e ammalati, il rifornimento di alimenti per situazioni di speciale bisogno,
l’invito a celebrare messa nell’ospedale psichiatrico vicino, la costruzione della scuola di borgata, la donna che
ha bisogno della sedia a rotelle, le confessioni e ancora altre messe.
Nella metropoli Buenos Aires le “Villas”, per le quali l’arcivescovo ha istituito un’apposito vicariato, non
sono quartieri, sono piccole città. Villa-21 ha quarantamila abitanti, «sessanta, settanta ettari – precisa Toto De
Vedia – sottratti al controllo delle istituzioni». Sotto l’occhio dell’arcivescovo sono sorti nelle borgate istituti per
il recupero dell’istruzione secondaria, centri per anziani, centri antidroga, centri di formazione professionale.
Si fa sport per togliere dalla strada i tossicodipendenti, si fa doposcuola per non lasciare abbandonati a se stessi i
bambini. La creazione del vicariato sottolinea l’importanza strategica che l’arcivescovo attribuisce alla pastorale
in queste zone.
Ogni volta che raggiunge le periferie, Jorge assiste al nascere di nuove iniziative. Quando scende dal trenino
urbano e a passo lento si dirige verso la parrocchia di Villa Ramón Carrillo, l’ultima da lui creata, vede come
lentamente sta sorgendo accanto alla chiesa un annesso, destinato a diventare luogo per riunioni, doposcuola,
corsi di formazione professionale e anche una piccola farmacia. Lo costruisce sotto la guida di un capomastro
un gruppo di trenta universitari, che ogni sabato arrivano dal centro. «Aiuta anche un gruppo di ragazzi ebrei
con il loro rabbino», spiega la volontaria Mechi Guinle. Collabora con il suo camion persino un abitante di
borgata di fede evangelica. Perché i seguaci delle comunità evangeliche, che nella bidonville hanno un tempio
e un paio di case-preghiera, convivono con il parroco cattolico senza problemi. Davanti alla chiesa uno
striscione azzurro proclama «Maria aiutaci a credere che l’impossibile sia possibile».
Jorge si sente a suo agio in queste parrocchie della periferia disperata. Sono case di Dio che ha visto crescere
o ha contribuito a creare. Per gli immigrati da regioni ancora più abbandonate la chiesa diventa un angolo di
speranza. A Villa-21, dove è forte la presenza di immigrati dal Paraguay, la parrocchia è intitolata alla loro
Vergine di Caacupé. La chiesa assomiglia ad un garage di cemento e trabocca di statuette della madonna.
Ognuna ha la sua storia e la sua potenza di intercessione, a cominciare da quella di Guadalupe. Sullo sfondo
della chiesa un grande murales mostra una folla festante in pellegrinaggio al santuario di Caacupé. Ma poi c’è
una vetrata tonda con l’immagine di Gesù. E un grande crocifisso. E una statua di Cristo che indica il suo
cuore misericordioso. E un quadro di don Bosco. E un’immagine di padre Carlos Mugica, il prete
intellettuale della Villa-31 di Retiro, impegnato nel movimento «Sacerdoti per il Terzo mondo», assassinato nel
1974 dalle squadracce anti-comuniste della “Tripla A”. E una statua di San Rocco con il cane. E ancora, in un
angolo dietro l’altare, una specie di grotta circondata da fiori variopinti di carta, che accoglie un Gesù
Bambino in piedi davanti alla croce e intorno a lui foto di fedeli della parrocchia.
Jorge si scalda davanti a questa esplosione di fede popolare, sorride al vedere la targa di legno che testimonia
«il battesimo [della chiesa compiuto] l’8.10.2009 dal vescovo padre monsignor Jorge Mario Bergoglio». Jorge
ama le donne in preghiera silenziosa sui banchi della chiesa, mentre i bambini scorrazzano sotto la tettoia
accanto. Ai suoi preti ripete continuamente: «La Chiesa non è per controllare la gente, ma per accompagnarla
lì dove sta». Prima del suo arrivo, i preti che avevano una parrocchia in città si occupavano anche di un pezzo