Page 6 - Francesco tra i lupi
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Bergoglio conosce ad uno ad uno gli ottocento preti della sua diocesi. Fin dall’inizio del suo incarico di
arcivescovo ha puntato a rafforzare la presenza dei sacerdoti nelle borgate. Ogni parrocchia di “Villa” ne ha dai
due ai tre. Erano undici, quando arrivò alla guida della diocesi, ora sono ventitré. Per loro c’è una linea
telefonica diretta. Li segue da vicino, li ascolta, li aiuta e li assiste nei momenti di crisi personale.
Accompagna, non giudica. Sa che i preti – come testimonia padre Pepe Di Paola, per anni suo vicario per le
borgate – hanno fiducia in lui, si confidano come non farebbero con altri vescovi, gli raccontano
sinceramente cosa stanno vivendo e spesso vengono in cattedrale «non per obbligo, ma per ascoltare la sua
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parola spirituale» .
Prima erano i sacerdoti ad andare in curia dall’arcivescovo, ora è l’arcivescovo che va da loro. Questo fa la
differenza. Bergoglio, dicono i preti, è «vicino». Quali che siano i problemi o “il” problema. Il momento in
cui un sacerdote è al crocevia della sua esistenza e si chiede se non valga la pena di vivere l’amore a viso aperto
con una donna. A Buenos Aires circola la storia di un prete, che va da Jorge e gli dichiara la sua scelta di unirsi
ad una compagna. D’accordo, gli risponde l’arcivescovo, saranno fatte le carte per abbandonare lo stato
clericale: «Però aspetta un paio d’anni prima di fare bambini». Passano due anni, il rapporto si sfascia, l’ex
prete ritorna e confessa di avere capito che la sua vera vocazione è il sacerdozio. D’accordo, risponde
l’arcivescovo, si faranno le procedure per la riammissione: «Però prima vivi da laico in castità per cinque anni».
Oggi, assicurano, è uno dei sacerdoti più stimati della capitale.
Jorge conosce le vie polverose delle borgate, gli alberi ingrigiti, gli sguardi degli abitanti ora affettuosi e festosi
ora diffidenti e chiusi. Conosce le strade piene di buche dove stazionano macchine fuori corso, rappezzate
mille volte. Riconosce i bambini che giocano accanto ai rigagnoli, una madre che spulcia la figlia e i cani
randagi che girano pigri da un crocicchio all’altro. Ogni tanto una casupola, con la finestra protetta da sbarre,
reca la scritta pretenziosa «Bibite, gelati, pane, detersivi». Più in là, sopra una porta chiusa, una mano ha
tracciato «Internet».
Jorge conosce le inferriate che costellano ossessivamente porte e finestre, verande e persino l’atrio
minuscolo del verduraio. Nella Villa Ramón Carrillo anche l’edicola di San Gaetano, patrono del pane e del
lavoro, è coperta da un reticolato di metallo così fitto che non si vede nemmeno l’immagine. Lo stesso nelle
altre borgate. Jorge è abituato al succedersi disordinato di case malfatte, in cui sul primo piano intonacato se ne
è costruito un secondo fatto di mattoni e poi un terzo. Balconi improvvisati, stanze non finite e senza tetto che
per un anno o due o tre rimangono a cielo aperto e servono da terrazzo per stendere i panni. Bidoni, pezzi di
ferro, scheletri di tavoli e letti buttati per strada. Al di là di un cavalcavia si raggruma una borgata ancora più
precaria, si chiama Villa Esperanza. Vicoli stretti dove passa appena una persona. Su una cella di cemento
spicca un cartello “Vendesi”.
A Buenos Aires l’arcivescovo è sempre stato per secoli un “potere”. Simbolicamente la Plaza de Mayo
riunisce i poteri della capitale della nazione: la Casa Rosada (il palazzo del presidente), la cattedrale, il palazzo
civico, il ministero dell’Economia. «Bergoglio – rimarca padre Di Paola – non ha mai guardato alla realtà dalla
prospettiva di Plaza de Mayo, ma dai luoghi del dolore, della miseria, della povertà. Dal basso di una borgata o
di un ospedale».
Ai suoi preti Jorge inculca che il sacerdote non deve essere un funzionario, deve saper trattare le coscienze
partendo dalla loro situazione concreta, esercitare «molta misericordia in confessionale», facilitare l’accesso ai
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sacramenti, «dare subito le cose di Dio a chi le chiede» . E dare gratis, perché il prete non è proprietario delle
cose di Dio, ma suo tramite. I preti lo sanno, Jorge è duro con chi pretende di appesantire i rapporti con i
fedeli con regole, ostacoli e burocrazia ecclesiastica.
Personalmente l’arcivescovo, che si confonde nella metropoli come un prete qualsiasi, è convinto che il
legame con i poveri rappresenti una ricchezza spirituale e che proprio tra di loro si possa trovare un’autenticità
e una sensibilità particolare nei confronti di Dio. L’opzione per i poveri – sancita dalle grandi assemblee
dell’episcopato latino-americano degli ultimi cinquant’anni: Medellín, Puebla, Santo Domingo, Aparecida –
per lui è fondamentale. Non per ragioni ideologiche, ma per motivi profondamente religiosi. Essere pastori
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che «hanno lo stesso odore delle pecore», è la sua formula . Quest’idea non lo abbandonerà mai nella sua
esistenza.
Jorge sa che le borgate sono anche un mondo violento, dove la brutalità è sospesa nell’aria nonostante la