Page 16 - Francesco tra i lupi
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III. Il colpo di stato di Benedetto XVI














    Senza  Ratzinger  non  c’è  Francesco.  Senza  le  dimissioni  di  Benedetto  XVI  il  cattolicesimo  non  sarebbe
    approdato alla svolta storica di un papa del Nuovo Mondo.
      L’11 febbraio 2013, durante un concistoro di routine dedicato alla canonizzazione degli ottocento martiri di
    Otranto  –  uccisi  dai  turchi  per  non  volere  passare  all’islam  –  Benedetto  XVI  abdica.  La  sera  un  fulmine
    spettacolare  si  scarica  sulla  cuspide  della  cupola  di  San  Pietro.  Simbolo  incancellabile  di  un  evento
    straordinario. «Un gesto del genere – ammette sconvolto il cardinale tedesco Joachim Meisner – era al di là
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    della mia capacità di immaginazione» .
      Paul  Poupard,  porporato  francese  per  lunghi  anni  presidente  del  Consiglio  per  la  Cultura,  commenta
    retrospettivamente: «Lo shock del pontificato breve di Giovanni Paolo I, durato trenta giorni, ha spinto il
    conclave del 1978 a chiudere la parentesi di mezzo millennio di papi italiani. Lo shock delle dimissioni di
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    Benedetto XVI ha dato il coraggio ai cardinali elettori di guardare al di là dell’oceano» .
      L’eventualità di dimettersi, sostiene Giovanni Maria Vian, storico della Chiesa e direttore dell’«Osservatore
    Romano»,  papa  Ratzinger  ce  l’aveva  in  testa  già  al  momento  dell’elezione.  Le  prime  tracce  si  trovano
    nell’enciclica Deus  caritas  est, firmata il 25 dicembre 2005, appena otto mesi dopo essersi insediato. Chi è
    «strumento»  nelle  mani  del  Signore,  nota  il  pontefice  tedesco,  non  penserà  di  agire  da  solo.  «È  Dio  che
    governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio... per quello che possiamo e finché Egli ce ne
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    dà  la  forza» .  Anche  da  cardinale  Ratzinger  aveva  affrontato  la  questione.  Nel  2002,  di  fronte  al
    peggioramento del Parkinson di Giovanni Paolo II, aveva commentato: «Se il papa [Wojtyla] vedesse di non
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    potercela assolutamente fare, allora sicuramente si dimetterebbe» .
      Più indietro nel tempo, commemorando nel 1978 il defunto Paolo VI, l’allora arcivescovo Ratzinger aveva
    ricordato  che  papa  Montini  al  settantacinquesimo  compleanno  e  poi  all’ottantesimo  aveva  «lottato
    intensamente  con  l’idea  di  ritirarsi».  E  qui  il  futuro  pontefice  tedesco  si  era  lasciato  andare  a  riflessioni,
    destinate a riemergere quando sarebbe salito sul trono di Pietro: «Possiamo immaginare quanto debba essere
    pesante il pensiero... di non avere più un momento privato. Di essere incatenati fino all’ultimo, con il proprio
    corpo che cede, a un compito che esige giorno dopo giorno il pieno e vivo impiego di tutte le forze di un
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    uomo» .
      L’idea, quasi opprimente, della fatica del ruolo papale con la vecchiaia che incombe, accompagna Benedetto
    XVI  costantemente.  Joseph  Ratzinger  in  nessun  momento  ha  voluto  essere  papa,  non  ha  brigato  per
    diventarlo, al contrario lo ha subito per senso del dovere. «Allo spoglio dei voti decisivi in conclave – ricorda
    Poupard, elettore nel 2005 – Ratzinger aveva un sorriso triste». Il pontefice tedesco ha vissuto l’evento come
    l’«avvicinarsi di una ghigliottina» e nell’attimo cruciale ha gridato al Signore: «Tu mi hai voluto. Tu mi devi
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    anche aiutare» .
      Joseph  Ratzinger  è  una  figura  tragica.  Dietro  un  portamento  all’apparenza  freddo,  restio  ad  entrare  in
    contatto con la folla, si cela una personalità tenera, timida, di grande delicatezza, dotata di umorismo e quel
    temperamento  lieto  di  fondo  che  è  una  caratteristica  del  meridione  tedesco.  Una  persona  di  «disarmante
    semplicità e sensibilità rara», capace di «costruire rapporti senza mai mettere a disagio l’interlocutore», ricorda
    il suo segretario Alfred Xuereb, rimasto al servizio di papa Francesco.
      Certamente, da prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Ratzinger era stato duro con i teologi
    riformisti. Ma da pontefice si è prefisso di testimoniare una fede vissuta gioiosamente, espressione d’amore
    per Dio e per il prossimo, non applicazione di un pacchetto di divieti. Una fede che non abbandoni nessuno
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    nei deserti della vita e riporti le persone smarrite «verso l’amicizia con il Figlio di Dio» . Rimettere Cristo al
    centro  dell’esistenza  cristiana  è  l’obiettivo  del  suo  pontificato.  Perché  Dio  «non  è  chiuso  nel  suo  cielo»  a
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