Page 92 - La coppia intrappolata
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   3        la spina da tutto ciò che è stato il suo incubo, non è capace di recuperare energia per
            pensare a voltare pagina, a pensare ad altri progetti, a conoscere altre persone a spe-
            rimentarsi in altre situazioni.
               Giovanni: “Ho un tale senso di vuoto internamente che non riesco a vivere, tut-
            to ha preso la dimensione di troppo per me, non ce la faccio”.
               Michela: “È una sensazione strana, avverto un grande vuoto dentro e nello stes-
            so tempo un peso così grande che mi paralizza, non conosco più la volontà, la vo-
            lontà di fare qualcosa, tutto ha perso di senso”.
               Pierpaolo: “Quando penso al vuoto senza di lui mi scatta un’angoscia insosteni-
            bile, preferirei morire per non sopportare più questa sofferenza”.
               Il senso di vuoto diventa paradossalmente una gabbia dove ci siamo intrappola-
            ti e nella quale prolunghiamo la sofferenza. In realtà è una gabbia mentale che ci sia-
            mo costruiti.
               La sensazione di fallimento è frutto di una distorsione della realtà, il fallimento
            è una trappola, un’illusione, durante l’infanzia è possibile aver vissuto esperienze di
            rifiuto e di abbandono nella quale si fa scattare l’idea negativa di sé (non merito, non
            valgo, non sono amato, non sono degno di amore), probabilmente si è stati sottopo-
            sti a troppe critiche, giudizi, frasi scoraggianti. Il bambino ha subito spesso il peso
            del giudizio degli altri e questo lo segna intimamente.
               Con la psicoterapia il lavoro sarà diretto a modificare l’atteggiamento radicato del
            succube, fondato su meccanismi di difesa, di fuga e di evitamento, trasformandoli
            in capacità di fronteggiare le situazioni che di volta in volta si presenteranno.
               In psicoterapia molte volte si scopre che il senso di fallimento è una conseguen-
            za diretta della tendenza a evitare, anziché il risultato di una mancanza di capacità
            dell’individuo stesso.
               Purtroppo anche per condizionamento culturale si tende a vivere il fallimento con
            un’accezione negativa del termine, un richiamare alla mente l’errore commesso, il
            senso di colpa che si è introiettato da bambini; questa visione andrebbe ribaltata: il
            fallimento andrebbe vissuto come facente parte del normale processo di apprendi-
            mento.
               Il fallimento è un’occasione concreta, costituisce una situazione nella quale l’indi-
            viduo è “sfidato dalla realtà”, è spinto a realizzare scelte per lui inedite, sconosciute,
            costretto ad attivare energie e potenzialità sopite. Costretto a elaborare significati nuo-
            vi, obbligato a mettere in moto la trasformazione della propria personalità (Frankl, 1953).
               Il senso di fallimento lo si prova tutte le volte che entriamo in conflitto con i no-
            stri valori, o almeno con quelli che crediamo essere i nostri e non introiettati, quan-
            do perdiamo il contatto con la parte più autentica di noi stessi, quando non sappia-
            mo dare più un significato alla nostra esistenza, quando il senso di non appartenen-
            za e di vuoto ci sovrastano e ci anestetizzano, paralizzandoci.
               Dovremmo imparare a pensare che falliamo quando non impariamo dai nostri
            errori e passivamente continuiamo a perseverare. Il fallimento è un giudizio, un’e-
            tichetta che ci diamo e che scaturisce dalle nostre paure più profonde, ma se impa-
            riamo ad amarci e a rispettarci non avremo più motivo di temere la disapprovazio-
            ne degli altri o non dovremo più ricorrere a meccanismi di difesa quali l’evitamen-
            to. Impareremo ad accettare di aver fallito perché il fallimento fa parte del vivere,
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