Page 18 - Manuale di autostima
P. 18

1.3. Autostima e lavoro


      L'ho detto nel paragrafo precedente e qui lo ripeto (ti prego di perdonarmi!): per chi ha una
      bassa autostima, per chi non riesce ancora a credere di avere un valore grandissimo non per
      quello che fa, ma per quello che è, l'attività lavorativa è un campo minato. Che sia un lavoro

      autonomo o di gruppo, full-time o part-time, che sia un lavoro di ufficio o in una cooperativa,
      in  un  ufficio  pubblico  o  in  una  società  privata,  l'esperienza  con  il  lavoro  può  tendere  al
      disastro. Infatti, per gli psicologi è uno degli ambiti più temuti per le persone con una bassa
      autostima, un vero e proprio banco di prova.

      Prova  a  pensarci,  il  timore  di  essere  giudicato  dai  colleghi  di  lavoro  o  dal  proprio
      responsabile,  la  paura  di  sbagliare,  il  senso  di  inadeguatezza,  l'idea  martellante  “non  sono
      bravo/capace/interessane come...” o “il mio ruolo/lavoro non è poi così importante...” è una
      caratteristica che non inizia dal nulla, che non è capitata di punto in bianco il primo giorno in
      cui hai messo piede in ufficio. Molto probabilmente (tiro ad indovinare quindi, se sono fuori
      strada, ti chiedo di perdonarmi) erano sensazioni che provavi già ai tempi della scuola.

      Ti racconto un aneddoto di quando ero molto piccola, mia mamma se ne ricorda ancora. Era
      l'estate dei miei cinque anni, quindi, a settembre, sarei andata alla scuole elementari (oggi
      chiamate “scuole primarie”), e tormentavo i miei genitori perché non sapevo ancora leggere e
      scrivere.  I  due  poveretti  avevano  cercato  in  tutti  i  modi  di  spiegarmi  e  convincermi  che
      andavo in prima elementare per imparare a leggere e scrivere, che le maestre erano lì apposta
      per insegnarmi a leggere e scrivere, e non per controllare che lo sapessi già fare. Mi avevano

      detto che nessuno si aspettava che un bambino andasse in prima elementare sapendo già tutto
      quello che in prima elementare si impara, ma non c'era stato verso di convincermi. Delle mie
      compagne, all'asilo, avevano imparato a scrivere il proprio nome, e a casa i genitori avevano
      insegnato loro l'alfabeto. Me lo avevano raccontato, e quello che era scattato nella mia testa è
      stato il pensiero: “e se a settembre tutti sapessero già scrivere? E se fossi l'unica a non saperlo
      fare?  E  se  anche  altri  dovessero  imparare,  se  fossero  comunque  più  veloci  di  me,  cosa
      penserebbe  la  maestra?”.  Appunto,  cosa  avrebbe  pensato  la  maestra  di  una  bambina  che

      entrava  in  prima  elementare  senza  sapere  leggere  e  scrivere?  Assolutamente  nulla,
      semplicemente  che  avrei  dovuto  impararlo,  e  non  sarebbe  sicuramente  stata  una  tragedia.
      Eppure,  questo  è  un  atteggiamento  che  accompagna  la  carriera  scolastica  di  tantissime
      persone, forse anche la tua. Un'esperienza con la scuola dove un voto basso, o un buon voto
      che, però, è troppo basso per potere essere considerato il più bravo, non è solo un invito a

      studiare  di  più,  e  non  significa  neanche  la  paura  che  tuo  papà  ti  tolga  il  motorino  per  un
      pomeriggio,  se  non  ti  metti  a  studiare  e  non  recuperi  l’insufficienza.  Oh,  no.  Il  voto  basso
      diventa  il  simbolo  di  quanto  vali  davanti  alla  classe  e,  per  estensione,  nel  mondo,  nel  tuo
      mondo.
      Quante  volte,  in  età  adulta,  facciamo  un  ragionamento  simile?  Quante  volte  assumiamo  un
      meccanismo  di  difesa  per  salvare  la  faccia  sul  posto  di  lavoro?  Quante  volte  il  successo
      diventa il metro personale per sapere quanto valiamo? Tutto questo può essere un attacco alla

      nostra autostima per due motivi principali. Il primo è che non  tutto  quello  che  capita  sul
   13   14   15   16   17   18   19   20   21   22   23