Page 128 - Come vivere più a lungo
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ropa e con ogni probabilità  si diffuse rapidamente a causa dei movimenti delle

          truppe e delle condizioni  belliche. La prima ondata non raggiunse alcune parti
          del mondo come il Sudamerica, l'Australia  e molte isole  dell'Atlantico  e del
          Pacifico.

              La seconda ondata, quella che causò il maggior numero di morti, colpì tutto
          il mondo, a eccezione  dell'isola  di Sant'Elena  e delle  Mauritius.  Un numero

          compreso fra l'80 e il 90 per cento delle persone di tutto il mondo si ammalò e
          circa 20 milioni di individui morirono. La malattia non era chiaramente la soli-
          ta influenza, poiché in quegli anni la percentuale più alta dei decessi si registrò
          tra i giovani, mentre le volte precedenti e quelle seguenti morirono d'influenza
          soprattutto gli anziani.


              Dal 1892 al 1918 si continuò  a credere che l'influenza fosse causata da un
          batterio chiamato «bacillo  di Pfeiffer», che era stato isolato dallo sputo o dal
          sangue dei pazienti affetti da influenza. Nel 1918, il ricercatore francese Debré
          rilevò un'analogia fra la risposta immunitaria dei malati d'influenza  e quella dei

          malati di morbillo,  anch'essa una malattia virale. Egli concluse che anche l'in-
          fluenza era probabilmente causata da un virus. Furono riportate immediatamen-
          te prove, a sostegno di questa supposizione, da Selter (1918) in Germania, da
          Nicolle  e Lebailly (1918) a Tunisi e da Dujarric de la Rivière (1918) in Fran-

          cia. La prova fu ottenuta facendo passare dello sputo e del sangue infettati at-
          traverso un filtro i cui pori erano così fini che nessun batterio poteva attraver-
          sarli. Si scoprì che il liquido filtrato, iniettato nelle cavità nasali di scimmie e di
          volontari, causava loro la malattia; il fattore responsabile venne denominato vi-

          rus «filtrabile»; esso è molto più piccolo di un batterio.

              L'isolamento di virus  influenzali,  che permise esaurienti studi sulle loro ca-
          ratteristiche, fu ottenuto nel 1933 dai ricercatori inglesi Wilson Smith, Christo-
          pher Andrewes e Patrick Laidlaw. Un resoconto dei procedimenti da loro se-
          guiti fu pubblicato da Andrewes nel 1965. Durante l'epidemia d'influenza  del

          1933, Andrewes e Smith, appartenenti entrambi al British National Institute for
          Medicai Research (Istituto Nazionale Britannico per la Ricerca Medica), stava-
          no lavorando sull'influenza,  quando Andrewes stesso la  contrasse. Smith gli

          fece fare dei gargarismi con acqua salata e usò la soluzione per cercare di infet-
          tare conigli,  porcellini  d'India, topi, ricci,  criceti e scimmie,  ma  senza  alcun
          successo. Laidlaw, dello stesso Istituto, era riuscito a infettare alcuni furetti con
          il cimurro dei cani; vide che il liquido dei gargarismi fatti da Andrewes, intro-
          dotto nel naso dei furetti, provocò loro l'influenza. Più tardi si scoprì anche co-

          me contagiare i topi.

              Da parecchio  tempo, infatti, esistevano prove di come alcuni tipi di virus
          influenzali  infettassero certi animali,  come pure alcuni essere umani. Durante
          l'epidemia del 1732, era stato osservato che i cavalli erano stati colpiti dall'in-
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