Page 34 - Prodotto interno mafia
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catene umane tra il Palazzo di giustizia e casa Falcone, l’albero
di Falcone, le lenzuola giú dai balconi con la scritta «No alla
mafia». È stato il movimento popolare a provocare una reazione
da parte di magistratura e forze di polizia.
Proprio la risposta dura dello Stato determinò anche un
cambio di strategia in Cosa nostra: dopo la cattura di Totò Riina,
avvenuta il 15 gennaio 1993, e con l’arrivo di Bernardo
Provenzano ai vertici di Cosa nostra, la parola d’ordine diventò
«inabissamento». L’organizzazione, indebolita dagli scontri con
lo Stato e dall’arresto del boss, capí che doveva tornare a
lavorare in silenzio e di nascosto. Ma qualcuno pensò sul serio
che la mafia fosse stata sconfitta.
Quando nel 2000 ero procuratore a Palermo mi resi conto che
nessuno voleva piú parlare di Cosa nostra, nemmeno i giornali, e
intanto ascoltavamo nelle intercettazioni i mafiosi dire: «Per ora
non lo possiamo uccidere. Dobbiamo stare calmi: quando sarà il
momento lo faremo». Rinunciavano alla violenza perché la
direttiva dall’alto era «Stop agli omicidi eclatanti». Bisognava
far calare l’attenzione dell’opinione pubblica, spegnere i
riflettori.
Una fase che lei definisce «prestragista» e che sembra
continuare ancora oggi.
Oggi la mafia è tornata a essere metafora del potere.
Attraverso imprenditori e professionisti colloquia con le
istituzioni. Si è ormai consolidato un connubio tra mafia, potere
economico-finanziario e potere politico. L’organizzazione si è
mimetizzata: non fa affari nella terra d’origine dove può essere
facilmente scoperta, ma al Nord e nei contesti dove ricchezza e
imprenditoria non fanno eccezione. Le teste però restano al Sud.
Dunque, quando facciamo inchieste nell’Italia settentrionale o
all’estero, è necessario cercare sempre il collegamento criminale
con le regioni di provenienza.
In che modo il cambiamento della strategia criminale ha
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