Page 39 - Prodotto interno mafia
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quando opera fuori dai confini siciliani – forma una «decina»,
intesa come costola di una «famiglia». La ’ndrangheta ha
interesse a manifestarsi disgregata perché, in questo modo,
appare ancora piú difficile da colpire giudiziariamente, dovendo
dimostrare ogni volta prima l’esistenza effettiva della cosca e poi
l’appartenenza all’organizzazione: un risultato impossibile da
ottenere se non si raggiunge la prova di singoli reati diversi
dall’associazione mafiosa. Il nostro compito è quello di
riannodare i fili anche laddove sembrano staccati gli uni dagli
altri.
Come definirebbe l’attuale leadership di Cosa nostra?
Non c’è leadership. L’idea che Matteo Messina Denaro sia il
capo è puramente mediatica. Denaro comanda nella provincia di
Trapani. Ha partecipato alle stragi e certamente ha un alto
lignaggio mafioso che ne suggerisce la consultazione per le
decisioni piú importanti, quelle che, per esempio, riguardano il
tentativo di ristrutturazione di Cosa nostra.
La tradizione vuole che l’organismo direttivo sia a Palermo e
che non si possano sostituire i capimandamento di Cosa nostra
che si trovano in carcere. La pena dell’ergastolo e l’introduzione
del regime del carcere duro hanno cambiato le carte in tavola.
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Prima i boss continuavano con poche difficoltà a comandare
dalle carceri. Oggi che, grazie alla disciplina prevista
dall’articolo 41-bis, i contatti con l’esterno sono ridotti al
minimo e la prospettiva è quella di restare in prigione tutta la
vita, le cose sono cambiate. L’organizzazione è in difficoltà
perché il capo, sebbene impossibilitato a comandare, non perde
la posizione di potere.
Cosa nostra è meno forte quando manca un organismo di
vertice. Abbiamo intercettazioni in cui i criminali dicono: «Non
possiamo prendere decisioni gravi, le cose importanti non le
possiamo decidere». Quali sono queste «decisioni gravi»? Forse
qualche omicidio eccellente? Non lo sappiamo. Quello che
sappiamo è che per compiere atti clamorosi le cosche hanno
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